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Ritrovato in Olanda un osso riempito con semi allucinogeni: risale all’Impero Romano

Un gruppo di archeologi dei Paesi Bassi ha scoperto un osso contenente semi di giusquiamo nero, una pianta dai potenti effetti narcotici ma che in certi dosaggio può diventare anche un potente allucinogeno. Si tratta del primo contenitore di questo tipo risalente al periodo romano rinvenuto finora.
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BIAX Consult | L'osso rinvenuto dagli archeologi in una foto dallo studio
BIAX Consult | L'osso rinvenuto dagli archeologi in una foto dallo studio

Nell'antichità le erbe medicinali, ma anche quelle potenzialmente velenose, venivano spesso utilizzate come "rimedi fai da te" in caso di dolore fisico o malanni di ogni tipo. Ad esempio, dai testi dello storico Plinio Il Vecchio, sappiamo che durante l'Impero Romano si conoscevano già i potenti effetti del giusquiamo nero, una pianta, che a seconda del dosaggio, può avere proprietà farmacologiche, effetti allucinogeni, e in certi quantitativi essere perfino velenosa.

Sapevamo già che gli antichi romani conoscevano molte proprietà di questa pianta, ad esempio Plinio Il Vecchio ne "sconsigliava" l'utilizzo per i pericolosi effetti che avrebbe potuto avere sulla mente umana. Ora, grazie a una scoperta da parte di un gruppo di archeologi dei Paesi Bassi sappiamo con certezza che già intorno al I secolo d.C gli antichi romani raccoglievano e utilizzavano consapevolmente i semi di questa pianta. Anche se restano ancora alcuni dubbi sulle modalità e gli scopi di assunzione. Nello specifico sappiamo che dal Medioevo in poi il giusquiamo nero veniva utilizzato anche come allucinogeno, mentre non sappiamo certi di questo suo utilizzo nelle epoche precedenti.

Come è avvenuta la scoperta

Siamo a Utrecht, nei Paesi Bassi, è il 2011. La squadra di archeologi guidata dall'archeozoologo Martijn van Haasteren (Agenzia per il Patrimonio Culturale dei Paesi Bassi) ha il compito di catalogare più di 86.000 ossa di animali rinvenuti negli scavi di una fattoria di epoca romana. Mentre van Haasteren li sta pulendo, uno gli scivola dalle mani e cade per terra. Lì la sorpresa: una delle cavità si apre e dall'osso escono centinaia di piccoli granelli neri: dalle analisi emerge che si tratta di semi di giusquiamo nero.

In un articolo pubblicato sulla rivista specialistica Antuquity, l'archeozoologa dell'Università Libera di Berlino Maaike Groot spiega che l'osso dovrebbe risalire a un periodo compreso tra il 70 e il 100 d.C. Oltre al contenuto, la presenza di un "tappo" di catrame in una delle cavità suggerisce che sia stata usato come una specie di sacca o contenitore. Mentre alcune sue parti particolarmente lisce potrebbero far pensare che l'osso sia stato utilizzato o maneggiato più e più volte nello stesso modo.

Perché è una scoperta così importante

Se è vero che grazie alla testimonianza lasciata da Plinio Il Vecchio, sappiamo che gli antichi romani discutevano già dei possibili usi medicali di questa pianta, questa scoperta fornisce "la prima prova" – scrivono gli autori – dell'uso consapevole di questa pianta come rimedio farmacologico anche tra le popolazioni rurali che vivevano ai confini dell'Impero, come erano appunto i Paesi Bassi. Si tratta infatti del primo esempio di semi di giusquiamo nero ritrovati in un contenitore risalente al periodo romano. Finora ne era stato ritrovato un altro, ma risalente al Medioevo.

Potrebbe essere una pipa?

È molto interessante notare che gli autori dell'articolo si sono soffermati anche sulla forma particolare dell'osso-sacca ritrovato, che sembra quasi far pensare a una pipa. Questo avrebbe potuto infatti confermare che i semi di giusquiamento venissero anche fumati oltre ad essere assunti sotto forma di unguenti. Tuttavia non ci sono tracce che provino il fatto che i semi siano stati bruciati. A questo punto, concludono i ricercatori, è  verosimile che l'osso venisse usato non come pipa, ma come una specie di sacca per conservare i semi.

D'altronde, alcune fonti sembrano testimoniare che fosse comune già tra gli antichi romani fumare le foglie della pianta, sebbene le prime prove certe di un suo uso come sostanza psichedelica risalgano al Medioevo: in questo periodo si pensava che le streghe la usassero per evocare i demoni, spiegano gli autori.

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