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Questo tratto della personalità aumenta il rischio di declino cognitivo

Un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell’Università di Victoria ha determinato che la personalità influenza il rischio di declino cognitivo.
A cura di Andrea Centini
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Potrebbe sembrare assurdo, ma avere un certo tipo di personalità può accentuare o ridurre il rischio di sviluppare declino cognitivo in età avanzata. La nostra personalità, del resto, plasma comportamenti e modi di approcciarsi alla vita che a lungo andare possono renderci più suscettibili a determinate condizioni, a loro volta in grado di influenzare anche la sfera cognitiva. Secondo un nuovo studio tra le persone che hanno un rischio superiore di declino cognitivo vi sono quelle con un accentuato tratto di nevroticismo, caratterizzato da instabilità emotiva. Il nevroticismo (o neuroticismo) è uno dei cosiddetti “Big Five” che in psicologia descrive la nostra personalità, assieme a estroversione, amicalità, coscienziosità e apertura mentale.

A determinare che le persone nevrotiche hanno un rischio superiore di sviluppare declino cognitivo è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Università di Victoria (Canada), che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Scienze Mediche Sociali della Northwestern University (Stati Uniti), del Rush Alzheimer's Disease Center, dell'Institute of Aging and Lifelong Health e del Centro per la prevenzione della demenza dell'Università di Edimburgo (Scozia). Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Tomiko Yoneda, docente presso il Dipartimento di Psicologia dell'ateneo canadese, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato i tratti della personalità di circa 2mila persone e averli messi in relazione con l'emersione di disturbi cognitivi.

I ricercatori hanno coinvolto nell'indagine 1.954 partecipanti allo studio “Rush Memory and Aging Project”, rivolto a persone anziane che vivono nell'area metropolitana di Chicago e nei dintorni. Tutti i soggetti coinvolti non avevano una diagnosi di demenza (come il morbo di Alzheimer) al momento del reclutamento nello studio e hanno acconsentito a sottoporsi a test cognitivi periodici. I partecipanti sono stati seguiti dal 1997 fino ai giorni nostri. Incrociando tutti i dati la professoressa Yoneda e i colleghi hanno scoperto che le persone con un punteggio più elevato di coscienziosità e uno più basso di nevroticismo avevano meno probabilità di sviluppare declino cognitivo (da una condizione di normalità) nel corso dello studio, mentre quelle con un punteggio alto di nevroticismo presentavano maggiori probabilità di sperimentarlo.

Come spiegato dagli autori dello studio in un comunicato stampa, le persone nevrotiche sono quelle più emotivamente instabili, ansiose, depresse, insicure e tendenti a sbalzi d'umore, che affrontano come una seria minaccia anche difficoltà minori. D'altro canto quelle coscienziose sono più responsabili, disciplinate, entusiaste verso la vita, estroverse e assertive. Insomma, le persone piene di energia e socievoli. Dal punto di vista squisitamente statistico, i partecipanti allo studio che ottenevano circa 6 punti in più nel tratto coscienzioso (su una scala da 0 a 48) avevano un “rischio ridotto del 22% di passare da una funzione cognitiva normale a un lieve deterioramento cognitivo”, ha spiegato la professoressa Yoneda. D'altro canto, sette punti in più nel tratto del nevroticismo (sempre su una scala da 0 a 48) aumentava del 12 percento il rischio di declino cognitivo. I ricercatori stimano che un 80enne con elevato livello di coscienziosità viva due anni in più libero da problemi cognitivi rispetto a un coetaneo con basso livello di coscienziosità. Gli estroversi otterrebbero un anno in più, mentre i nevrotici un anno in meno.

“I tratti della personalità riflettono modelli di pensiero e comportamento relativamente duraturi, che possono influenzare cumulativamente l'impegno in comportamenti sani e malsani e modelli di pensiero per tutta la durata della vita”, ha dichiarato la professoressa Yoneda. “L'accumulo di esperienze nell'arco della vita può quindi contribuire alla suscettibilità di particolari malattie o disturbi, come un lieve deterioramento cognitivo, o contribuire alle differenze individuali nella capacità di resistere ai cambiamenti neurologici legati all'età”. Ha concluso la scienziata. I dettagli della ricerca “Personality Traits, Cognitive States, and Mortality in Older Adulthood” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Journal of Personality and Social Psychology: Personality Processes and Individual Differences.

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