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Covid 19

Perché i tamponi antigenici rapidi sono i migliori per capire quali pazienti Covid devono isolarsi

I tamponi antigenici rapidi, spesso finiti nel mirino per la scarsa sensibilità, sono molto preziosi nell’identificare i positivi contagiosi. Ecco perché.
A cura di Andrea Centini
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C'è una differenza sostanziale tra l'essere positivi al coronavirus SARS-CoV-2 e risultare positivi e contagiosi. La capacità di infettare le altre persone con la COVID-19, infatti, non è onnipresente nell'arco temporale della positività. Si può dunque risultare positivi al patogeno pandemico e non essere contagiosi per gli altri. In una fase della pandemia in cui si sta persino valutando di lasciar circolare liberamente i positivi, distinguere tra chi è positivo e infettivo e chi è positivo ma non contagioso è un dato estremamente prezioso, anche alla luce del drammatico impatto sociale, psicologico ed economico dovuto al confinamento delle persone. Ebbene, i bistrattati tamponi antigenici (i rapidi, per intenderci) risultano più efficaci dei molecolari – il “gold standard” nella diagnostica – nel determinare se un paziente positivo è anche infettivo.

A spiegarne nel dettaglio le ragioni è l'epidemiologo, immunologo e patologo Michael Mina, uno specialista in malattie infettive e immunità che in passato ha lavorato presso la prestigiosa Università di Harvard, negli Stati Uniti. Lo scienziato ha pubblicato una serie di “cinguettii” su Twitter nei quali ha tessuto le lodi dei tamponi antigenici, spessi finiti nel mirino degli esperti a causa della loro scarsa affidabilità. Il professor Mina ha iniziato il suo primo post ponendo una domanda: “Sono infettivo?”. Per saperlo, la cosa migliore che possiamo fare è proprio sottoporci a un test rapido. La ragione risiede nel fatto che i test antigenici rapidi risultano molto sensibili e specifici per i virus infettivi, mentre la PCR, ovvero la reazione a catena della polimerasi, il test di laboratorio alla base dei tamponi molecolari, “è sensibile ma *NON* specifica”, scrive su Twitter il professor Mina. La PCR, infatti, determina molti risultati falsi positivi se la domanda a cui vogliamo rispondere è proprio quella con cui lo scienziato ha iniziato il suo post. Ricordiamo che la specificità riflette la probabilità che un test risultato negativo rappresenti effettivamente l'assenza del virus. In altri termini, un test altamente specifico ci darà un numero basso di falsi positivi. Se stiamo cercando il SARS-CoV-2 infettivo, dunque, come spiegato dal professor Molina i test molecolari non risultano i più adatti.

Nel grafico soprastante, legato allo studio “The Usefulness of Antigen Testing in Predicting Contagiousness in COVID-19”, si evidenzia che nel rilevare i virus infettivi di colture cellulari i test antigenici rapidi hanno il 96 percento di sensibilità e il 91 percento di specificità, mentre i tamponi molecolari legati alla PCR hanno il 100 percento di sensibilità (cioè non rilevano falsi negativi in caso di infezione) ma hanno solo il 51 percento di specificità, quasi la metà degli antigenici. Il dettaglio più importante di questi dati, spiega lo scienziato americano, risiede nel fatto che gli antigenici rapidi pur avendo identificato solo il 41 percento dei soggetti con PCR positiva (e solo il 12 percento nel caso degli asintomatici) essi hanno rilevato il 96 percento di tutti i soggetti con virus infettivo e il 100 percento degli asintomatici con virus infettivo.

Come spiegato dal professor Wbeimar Aguilar-Jiménez e colleghi dell'Università di Antioquia, dunque, la contagiosità del SARS-CoV-2 risulta altamente improbabile con un test antigenico negativo, mostrando “un valore predittivo negativo del 99,9 percento rispetto alla coltura virale”. Insomma, hanno una scarsa sensibilità per l'infezione ma sono cecchini infallibili nell'identificare le persone che trasmettono il virus e lo diffondono le comunità, pertanto rappresentano un preziosissimo strumento per individuare le persone che devono effettivamente stare in isolamento, in particolar modo adesso con l'estrema circolazione della variante Omicron.

A suffragio di quanto sostenuto il professor Mina ha pubblicato due ulteriori post, nei quali viene indicata l'enorme differenza nell'RNA del virus tra antigene rapido positivo e negativo e coltura virale positiva e negativa. "Ciò rende molto chiaro che i test rapidi e il virus infettivo sono molto simili e che i campioni che non vengono rilevati dal test dell'antigene non vengono semplicemente persi per caso, ma mancano per le giuste ragioni, ovvero la carica virale molto bassa e il virus che non è coltivabile, pertanto non è infettivo", ha concluso il professor Mina.

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