Perché fare attività fisica protegge il cervello dall’Alzheimer: la scoperta degli scienziati

Diverse ricerche hanno evidenziato che l'attività fisica aiuta a proteggere efficacemente il cervello dall'Alzheimer, la più diffusa forma di demenza al mondo. Ciò nonostante, il modo in cui questo avviene a livello molecolare e cellulare non è ancora pienamente compreso dagli scienziati. Sappiamo, per esempio, che l'esercizio fisico riduce stress e infiammazione, migliora la circolazione nel tessuto cerebrale e favorisce la produzione di fattori neurotrofici che proteggono i neuroni. Sono tutti elementi preziosi in grado di contrastare la neurodegenerazione alla base dell'Alzheimer, ma mancano ancora informazioni dettagliate sui meccanismi molecolari in gioco e sulle cellule coinvolte.
Un nuovo studio sembra aver fatto luce proprio su questi processi neuroprotettivi, suggerendo che fare attività fisica, fra le altre cose, rafforza e stimola una sottopopolazione peculiare di cellule cerebrali chiamate astrociti, associate ai vasi cerebrali. Gli astrociti – così chiamati per la loro forma a stella – fanno parte della neuroglia e sono cellule di supporto per i neuroni, con svariate funzioni. Ad esempio, nutrono e mantengono in equilibrio le cellule del tessuto nervoso; migliorano la barriera ematoencefalica (che filtra l'accesso di virus, batteri, tossine e altre sostanze nel cervello); favoriscono il passaggio dei segnali elettrici tra le sinapsi; e giocano un ruolo nella riparazione dei tessuti. La particolare sottopopolazione di astrociti coinvolta nella protezione dall'Alzheimer è conosciuta come astrociti associati ai vasi neurovascolari (NVA). Scoperta solo di recente, è stato dimostrato che queste cellule cerebrali tendono a diminuire nelle persone affette dalla diffusa forma di demenza, che, secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), colpisce oltre 40 milioni di persone nel mondo, un dato destinato a triplicare entro il 2050.
A dimostrare come l'esercizio fisico possa stimolare cellule cerebrali in grado di proteggere dall'Alzheimer è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Massachusetts General Hospital e della Scuola di Medicina dell'Università di Harvard, in collaborazione con colleghi di vari istituti, tra cui il Dipartimento di Psichiatria dell'Università di Washington e il Dipartimento di Farmacologia della SUNY Upstate Medical University. I ricercatori, coordinati dalla neuroscienziata Christiane D. Wrann, si sono concentrati su una specifica area dell'ippocampo considerata fondamentale per la memoria e l'apprendimento, tra le prime ad essere colpita nella fase precoce dell'Alzheimer. Attraverso una tecnica d'indagine chiamata sequenziamento dell'RNA a singolo nucleo (single-nucleus RNA sequencing, snRNA-seq), sono riusciti a indagare gli effetti dell'esercizio fisico sul tessuto cerebrale a livello cellulare.
L’esperimento ha coinvolto modelli murini della malattia di Alzheimer (topi maschi transgenici APP/PS1), alcuni dei quali sottoposti ad attività fisica sulla ruota, mentre gli altri del gruppo di controllo sono rimasti sedentari. Nei primi è stato osservato non solo un miglioramento della memoria, ma anche un'attività genica a sostegno della neuroprotezione. “L'esercizio fisico ha ripristinato i profili trascrizionali di una parte dei geni disregolati dall'AD (malattia di Alzheimer, NDR) in modo specifico per tipo cellulare”, hanno spiegato gli scienziati nell’abstract dello studio. “Abbiamo identificato una sottopopolazione astrocitaria associata ai vasi neurovascolari, la cui abbondanza era ridotta nell’AD, mentre la sua firma di espressione genica era indotta dall’esercizio fisico. L’attività fisica ha anche migliorato il profilo di espressione genica della microglia associata alla malattia”, hanno aggiunto. I risultati sono stati confermati anche su cellule umane coltivate in laboratorio ed è stato inoltre osservato che un gene – chiamato Atpif1 – è coinvolto nella formazione di nuovi neuroni.
“Questo lavoro non solo fa luce sui benefici dell’esercizio fisico per il cervello, ma svela anche potenziali bersagli cellulari specifici per future terapie contro l’Alzheimer”, ha dichiarato in un comunicato stampa il coautore dello studio Nathan Tucker. “Il nostro studio offre una risorsa preziosa per la comunità scientifica che studia la prevenzione e il trattamento dell’Alzheimer”, ha aggiunto lo scienziato.
Nel 2023, uno studio dell’Università di Otago (Nuova Zelanda) ha dimostrato che bastano sei minuti di ciclismo o spinning intenso per innescare processi biologici in grado di contrastare la neurodegenerazione e il declino cognitivo. In particolare, viene stimolata la produzione del fattore neurotrofico derivato dal cervello (BDNF), associato alla capacità del cervello di formare nuove sinapsi (neuroplasticità) e di proteggere i neuroni. I dettagli della nuova ricerca “Protective exercise responses in the dentate gyrus of Alzheimer’s disease mouse model revealed with single-nucleus RNA-sequencing” sono stati pubblicati su Nature.