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Covid 19

Paziente Covid malato da 411 giorni guarisce grazie a trattamento mirato

Un uomo di 59 anni con Covid da oltre un anno è guarito solo dopo un trattamento “super mirato” con anticorpi monoclonali, scelto dopo un’indagine genetica.
A cura di Andrea Centini
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Un uomo positivo al coronavirus SARS-CoV-2 per 411 giorni consecutivi (quasi un anno e due mesi) è guarito dalla COVID-19 grazie a un trattamento sanitario mirato, scelto dai medici dopo il sequenziamento dell'intero genoma del ceppo che lo aveva infettato. Il paziente britannico di 59 anni era stato contagiato alla fine del 2020 da una variante del virus derivata dal lignaggio originale di Wuhan, dove è emerso alla fine del 2019 e ha dato inizio alla pandemia. A causa del sistema immunitario indebolito da un trapianto di rene cui era stato sottoposto poco prima l'infezione si è cronicizzata; l'uomo è rimasto costantemente positivo al tampone oro-rinofaringeo tra dicembre 2020 e gennaio 2022. Durante questo periodo gli sono state somministrate anche tre dosi di vaccino anti Covid.

Poiché l'infezione non veniva debellata in alcun modo, i medici hanno deciso di sequenziare l'intero genoma del SARS-CoV-2 che aveva infettato il paziente, scoprendo che nel processo di replicazione all'interno del suo organismo il virus aveva sviluppato molteplici mutazioni resistenti ai trattamenti standard. Secondo gli esperti è proprio così che nascono le nuove ed elusive varianti; una prolungata infezione in un paziente con sistema sanitario indebolito, infatti, permette l'emersione di numerose mutazioni casuali, alcune delle quali possono risultare resistenti agli anticorpi neutralizzanti. Se questo virus "super mutato" riesce a passare dal paziente con infezione cronica alla popolazione generale, può dar vita a una nuova variante di preoccupazione. Gli scienziati ritengono che alcuni dei ceppi resistenti emersi durante la pandemia possano essersi sviluppati in pazienti contagiati dall'HIV o in trapiantati, proprio perché presentano un sistema immunitario indebolito.

Attraverso la tecnologia dei nanopori i medici del Dipartimento di Malattie Infettive del Guy's and St Thomas' NHS Foundation Trust e del King's College di Londra hanno condotto un'approfondita analisi genetica del virus che ha aveva infettato il 59enne, determinando che era stato colpito da un ceppo legato alla variante originale di Wuhan e “super mutato” nel corso dei 411 giorni. Sulla base delle caratteristiche del virus hanno deciso di somministrargli una combinazione dei due anticorpi monoclonali, il casirivimab e l'imdevimab, che sono riusciti a eliminare completamente l'infezione. È interessante notare che oggi questo trattamento non viene più usato spesso perché le nuove varianti (come la Omicron e le sue molteplici sottovarianti) non rispondono bene, ma come specificato l'uomo era stato infettato da un lignaggio strettamente legato al ceppo originale cinese.

I ricercatori hanno presentato anche altri casi di infezioni croniche che sono state debellate grazie a trattamenti "super mirati", tutti seguiti da un'indagine genetica. Una donna di 45 anni affetta da HIV che non rispondeva proprio agli anticorpi monoclonali casirivimab e imdevimab, ad esempio, è stata curata col Paxlovid, che è riuscito ad eliminare l'infezione. Un paziente oncologico di 60 anni ricoverato più volte e considerato prossimo alla morte a causa dell'infezione è stato salvato in extremis – dopo essere stato intubato – grazie a una combinazione di farmaci che non era mai stata sperimentata prima, il Paxlovid più l'antivirale Remdesivir. Gli autori dello studio sottolineano che i pazienti con sistemi immunitari deboli possono infettarsi in modo persistente e c'è ancora bisogno di tanto lavoro per trovare il metodo più efficace per curarli, come appunto combinazioni di terapie e uso di anticorpi monoclonali adatti per la specifica variante.

Il caso del 60enne, che è stato dimesso dopo 145 giorni ed è definitivamente guarito dopo essere stato a un passo dalla morte, “suggerisce che l'uso di due antivirali può trattare con successo la COVID-19 cronica, che può verificarsi in chi ha un sistema immunitario indebolito e viene infettato in modo persistente”, ha dichiarato in un comunicato stampa il dottor Luke Snell della School of Immunology & Microbial Sciences del King's College di Londra, che ha coordinato lo studio. I dettagli della ricerca “Real-time whole genome sequencing to guide patient-tailored therapy of SARS-CoV-2 infection” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Clinical Infectious Diseases e presentati al Congresso europeo di microbiologia clinica e malattie infettive (ECCMID) svoltosi a Lisbona, in Portogallo.

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