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Nel 2027 la NASA invierà un drone volante su Titano, una luna di Saturno: ecco dove atterrerà

Il drone Dragonfly arriverà su Titano nel 2034. Atterrerà nei pressi del cratere Selk, tra dune di sabbia e un terreno di idrocarburi ghiacciati.
A cura di Andrea Centini
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Credit: Johns Hopkins APL
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Nel 2027 la NASA lancerà una delle missioni di esplorazione spaziale più emozionanti in programma: l'esplorazione di Titano con un avveniristico drone volante. Dragonfly (libellula), questo il nome della missione, è stata selezionata nel 2019 nel cuore del progetto New Frontiers dell'agenzia aerospaziale statunitense, creato per premiare le idee più ambiziose di ricerca nel Sistema solare (con un occhio alla sostenibilità economica). Come indicato ci vorranno ancora cinque anni prima di veder partire il razzo lanciatore, ma dovremo aspettare fino al 2034 per l'atterraggio del velivolo sulla luna di Saturno.

I ricercatori stanno studiando alacremente l'area in cui far atterrare il drone volante – un aerogiro simile a un elicottero, con otto rotori – e hanno individuato sei zone particolarmente interessanti. Si trovano a ridosso del cratere Selk, nella zona a Sud-Est, dove si trova un deserto composto da dune sabbiose e un terreno di idrocarburi ghiacciati. Titano è infatti un vero e proprio mondo alieno, dove sono presenti grandi laghi di idrocarburi liquidi (poco profondi) e dove piove metano, mentre l'atmosfera è quattro volte più densa di quella terrestre. A descrivere le zone degne di interesse per l'atterraggio di Dragonfly è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati del Paris Institute of Earth Physics (IPGP) dell'Università Paris Cité e del Cornell Center for Astrophysics and Planetary Science (CCAPS) dell'Università Cornell di New York, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Laboratorio di fisica applicata dell'Università Johns Hopkins e di altri istituti.

Credit: Johns Hopkins APL
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Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Léa E. Bonnefoy, hanno descritto il sito nei pressi del cratere Selk grazie alle immagini radar catturate dalla compianta sonda Cassini e i dati raccolti durante la discesa dal lander Huygens, che atterrò su Titano nel 2005, in una zona a sud dove dovrebbe arrivare la nuova missione. “Dragonfly – la prima macchina volante che esplorerà il sistema solare esterno – sta andando in un'area scientificamente notevole”, ha dichiarato in un comunicato stampa la professoressa Bonnefoy. “Dragonfly atterrerà in una regione equatoriale e secca di Titano, un mondo di idrocarburi gelido, dall'atmosfera densa. A volte piove metano liquido, ma è più simile a un deserto sulla Terra, dove ci sono dune, alcune piccole montagne e un cratere da impatto. Stiamo osservando da vicino il sito di atterraggio, la sua struttura e la sua superficie. Per fare ciò, stiamo esaminando le immagini radar della missione Cassini-Huygens, osservando come il segnale radar cambia da diversi angoli di visione”, ha aggiunto la scienziata.

Credit: Johns Hopkins APL
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Determinare con precisione il sito di atterraggio della sonda è fondamentale, anche perché la risoluzione delle immagini di Cassini è di circa 300 metri per pixel e dunque dettagli come piccoli fiumi e altre caratteristiche del paesaggio potrebbero sfuggire. Grazie alle curve di retrodiffusione – le variazioni dei segnali radar in base alla conformazione del paesaggio – Bonnefoy e colleghi sono riusciti a ricostruire come dovrebbe essere l'aspetto geologico del cratere di Selk, ma al momento si tratta solo di stime. Saranno condotti molti altri studi sui dati raccolti da Cassini e Huygens prima di poter determinare con esattezza il punto dove atterrerà Dragonfly, una missione durante la quale non solo scopriremo meglio il paesaggio alieno di Titano, simile a quello della Terra primordiale, ma verranno anche condotte indagini chimiche e di astrobiologia. Il velivolo dovrebbe “sopravvivere” su Titano per tre anni. I dettagli della ricerca “Composition, Roughness, and Topography from Radar Backscatter at Selk Crater, the Dragonfly Landing Site” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata The Planetary Science Journal.

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