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Milioni di uccelli uccisi dall’influenza aviaria: distrutti decenni di sforzi di conservazione

Un nuovo studio stima che gli uccelli selvatici uccisi dalla panzoozia di influenza aviaria ad alta patogenicità A (H5N1) sono milioni in tutto il mondo. A rischio intere popolazioni e specie minacciate. Esperti preoccupati anche dal possibile salto di specie all’uomo.
A cura di Andrea Centini
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Credit: Beach plastic .bretagne / Facebook
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Il virus dell'influenza aviaria A (H5N1) sta uccidendo milioni di uccelli selvatici in tutto il mondo e rischia di compromettere decenni di conservazione, portando a crolli di popolazioni preziose ed estinzione delle specie più minacciate. È la drammatica stima fatta dagli scienziati che stanno indagando a fondo sulla diffusione del virus dell'aviaria ad alta patogeniticà (HPAI), che dalla fine del 2021 sta provocando una vera e propria ecatombe, soprattutto tra gli uccelli marini. Calcolare l'impatto del patogeno sulla fauna selvatica non è semplice perché molti Paesi non hanno sistemi di monitoraggio adeguati o non diffondono le informazioni; gli scienziati sono tuttavia consapevoli che ormai siamo innanzi a una panzoozia, cioè a un'epidemia che colpisce gli animali a livello globale. In pratica è l'equivalente di una pandemia per l'uomo. Le segnalazioni di morie arrivano anche dove il virus non era mai stato segnalato prima. Ciclicamente era presente in Asia ed Europa, ma la diffusione esplosiva degli ultimi due anni sta preoccupando seriamente gli esperti.

Un situazione particolarmente drammatica si sta vivendo nel Sud America, dove il patogeno si è fatto largo sino alla Terra del Fuoco, un arcipelago all'estremità meridionale del continente condiviso tra Cile e Argentina. I primi casi sono stati segnalati anche in Indonesia. I ricercatori sospettano che da questi luoghi il virus A (H5N1), che non è mutato molto rispetto al ceppo identificato a novembre 2021 in Europa, possa espandersi ulteriormente e raggiungere anche l'Antartide e l'Australia, dove potrebbe provocare stragi senza precedenti. La maggior parte degli uccelli che vive nell'emisfero australe (meridionale) non è infatti mai stata esposta a questo patogeno, pertanto non presenta la minima immunità verso di esso. Considerati gli elevatissimi tassi di mortalità dell'influenza aviaria registrati negli allevamenti e nelle colonie in natura, si rischia realmente il peggio. Anche perché molti di questi uccelli vivono a strettissimo contatto nei siti di riproduzione e i virus a trasmissione respiratoria possono diffondersi a una velocità drammatica.

Per comprendere l'impatto della diffusione del virus dell'aviaria si può far riferimento ai dati rilasciati dal Perù, un Paese mai interessato prima dall'H5N1. Dall'inizio del 2023 è stato sterminato oltre il 40 percento dei pellicani peruviani, hanno perso la vita più di 100.000 sule e più di 85.000 cormorani. Il governo peruviano è particolarmente attento al fenomeno e i ricercatori non credono che si tratti di un caso isolato in Sud America; semplicemente, credono che gli altri non lo stanno monitorando con la stessa attenzione. Ian Brown, direttore dei servizi scientifici presso l'Agenzia britannica per la salute degli animali e delle piante (Apha), evidenzia al Guardian il caso anomalo del Brasile, il principale esportatore mondiale di carne di pollo, che ha segnalato casi di aviaria negli uccelli selvatici solo 6 mesi dopo il Perù. Se consideriamo che solo in Italia la diffusione del virus ha determinato la morte di milioni di polli, tacchini, quaglie e altri animali rinchiusi negli allevamenti, è verosimile che qualcosa non torni.

I dati drammatici del Sud America si affiancano a quelli registrati in Europa, dove nel 2022 è deceduto il 17 percento dei beccapesci e il 62 percento delle sterne maggiori, mentre nel 2021 è stato spazzato via il 40 percento dei pellicani che vive nell'Europa sudorientale. In Francia alla fine della scorsa estate si sono verificate morie mai viste prima in colonie protette, ad esempio in Bretagna, dove sono state recuperate migliaia di carcasse tra sule bassane, sterne e gabbiani. Nel Regno Unito sono morti almeno 30.000 gabbiani dalla testa nera. Il virus, inoltre, non uccide solo gli adulti, ma vengono spazzate via intere generazioni di pulli, con danni gravissimi a livello di popolazione e in alcuni casi anche di specie. Oltre 600 pulcini sono deceduti “nella più grande colonia di sterna artica continentale della Gran Bretagna a Long Nanny, sulla costa del Northumberland”, spiega il Guardian. “Stimiamo che la mortalità tra gli uccelli selvatici sia di milioni piuttosto che delle decine di migliaia segnalate, attraverso il confronto dei dati di notifica con la letteratura. Le epidemie tra gli uccelli selvatici stanno causando preoccupazioni a livello di popolazione e di specie che possono portare all'estinzione e mettere a repentaglio decenni di sforzi di conservazione”, hanno chiosato gli ecologi Marcel Klassen e Michele Wille, autori dello studio che ha monitorato la situazione internazionale.

Ma il virus A (H5N1) non sta colpendo solo gli uccelli. Ad esempio nel Mar Caspio è stata segnalata una moria di centinaia di foche, mentre il virus è stato rilevato in volpi rosse, orsi grizzly, lontre, visoni e altri animali. In Polonia il patogeno ha ucciso decine di gatti e le autorità raccomandano ai proprietari di tenere i piccoli felini a casa. Una delle preoccupazioni principali è che il patogeno possa compiere lo spillover (salto di specie da animale all'uomo) con mutazioni in grado di favorire una pandemia; ad oggi, infatti, è stata osservata solo una dozzina di casi sporadici nell'uomo, alcuni dei quali mortali, ma data la circolazione ubiquitaria tra gli animali non si può escludere il rischio di una diffusione pandemica.

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