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Perché le autorità europee sono preoccupate per il salto di specie dell’influenza aviaria

Dopo il secondo caso di infezione infezione nell’uomo del virus dell’influenza aviaria A (H5N1) ad alta patogenicità (HPAI) negli Stati Uniti, le autorità sanitarie europee spiegano perché la continua evoluzione del virus potrebbe renderlo capace di diffondersi anche tra gli uomini.
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Anche se la trasmissione da uccelli a uomini resta un'eventualità rara, preoccupa l'ipotesi di una diffusione su larga scala del virus. All'indomani della notizia del secondo caso di infezione nell'uomo del virus dell'influenza aviaria A (H5N1) ad alta patogenicità (HPAI) negli Stati Uniti, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e l'Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) hanno sottolineato la necessità di attuare tutte le misure preventive affinché i casi di aviaria nell'uomo restino isolati in un report ufficiale.

Nel documento ufficiale, le due autorità sanitarie europee hanno ricostruito quali sono stati i fattori che hanno contribuito a rendere possibile il "salto di specie", ovvero il passaggio del virus dagli animali all'uomo o da una specie animale ad un'altra. Nessun allarmismo per quanto riguarda la situazione attuale: nessun caso di infezione umana è stato isegnalato in Europa, tuttavia il rischio di una nuova pandemia esiste ed è "preoccupante", ha spiegato Angeliki Melidou, referente per i virus respiratori dell'ECDC.

Perché si teme una nuova pandemia

Secondo quanto spiegato dai dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) degli Usa, ovvero l'ente che monitora l'evoluzione delle malattie infettive, il caso di infezione segnalato in Texas si sarebbe verificato dopo il contatto dell'uomo con delle mucche infette. Solo a fine marzo negli Stati Uniti era scattata l'allerta per la scoperta di diversi focolai di infezione negli allevamenti bovini del Paese. La notizia aveva generato diversi timori dato che fino ad allora non erano mai stati segnalati casi di infezione nella specie bovina.

A tenere alta la preoccupazione sui possibili esiti della situazione attuale – spiegano ECDC ed EFSA – è questa continua evoluzione del virus, che sebbene resti prevalente tra gli uccelli, nel tempo ha dimostrato di poter trasmettersi anche in altre specie di mammiferi. Lo dimostrano i focolai segnalati negli ultimi mesi negli allevamenti di bovini e anche in quelli di animali da pelliccia.

Perché i salti di specie sono pericolosi

Anche se i casi di trasmissione dagli uccelli all'uomo rimane un fatto raro, si legge nel report, già nel 202o ci sono stati casi di infezioni asintomatiche in Unione Europea (Ue) e nello Spazio economico europeo (See).

Il rischio è quindi che con la migrazione degli uccelli selvatici, potrebbero diffondersi nuovi ceppi che presenterebbero nuove mutazioni in grado di agevolare l'adattamento ai mammiferi. Se in quest'evoluzione – si legge nel report – i virus dell'influenza aviaria A (H5N1) riesciuranno a "diffondersi in modo efficiente tra gli esseri umani", la mancanza negli uomini di difese immunitarie adatti ai nuovi virus potrebbe innescare una nuova diffusione su larga scala del virus.

Ecco perché è fondamentale lavorare sulla prevenzione, raffrontando le misure di biosicurezza negli allevamenti e la possibilità che gli animali al loro interno vengano in contatto con gli uccelli selvatici, quindi potenzialmente infetti. Per questo una delle proposte contenute nel report è quella di distanziare gli allevamenti di polli da quelli di animali di altro tipo, soprattutto nelle aree più a rischio.

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