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L’impatto del nuovo digitale terrestre sull’inquinamento: come se l’Italia avesse una città in più

Il nuovo digitale terrestre potrebbe apportare in Italia un plus di CO2 pari almeno a quello prodotto in un anno da una città di dimensioni intermedie tra Firenze e Roma. Il problema è soprattutto nella fase di produzione, ma anche lo smaltimento corretto si rivela insidioso, perché ai centri di trattamento italiani la sostenibilità, economicamente, non conviene.
A cura di Chiara Daffini
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Sono tra i 9 e 10,2 milioni – il 25% circa di quelli in Italia – i televisori da rottamare (dati Fondazione Ugo Bordoni) per il passaggio al nuovo digitale terrestre (dvb-t2), iniziato lo scorso ottobre e in previsione di completamento nel 2023. Un cambio reso necessario dall’arrivo del 5G: le frequenze della banda 700 MHz, porzione dello spettro occupata oggi dai canali TV nazionali e locali, devono essere liberate per fare spazio alle trasmissioni telefoniche di nuova generazione. Un po’ come i file zippati: i segnali digitali verranno compressi e solo i televisori più avanzati tecnologicamente saranno in grado di leggere i dati.
Oltre a una maggiore efficienza nell’utilizzo dello spettro e a una più elevata qualità audio e video, tra i vantaggi promessi dal dvb-t2 ci sarebbe anche un minore inquinamento elettromagnetico.

Che fine fanno i televisori dismessi

I televisori dismessi sono classificati come Raee, cioè rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche e più precisamente rappresentano il sottogruppo R3, che comprende gli apparecchi dotati di schermo. Gli ultimi dati disponibili dal Centro di coordinamento Raee per gli anni 2019-2020, evidenziano un incremento annuale del 4% nello smaltimento degli R3, che già tre anni fa toccavano quota 62.272 tonnellate (circa 8 volte la Tour Eiffel).

Quando va bene, i televisori-rifiuti vengono portati dai cittadini nelle isole ecologiche, gestite dai Comuni. Questi ultimi sono iscritti al Centro di coordinamento Raee (Cdc Raee), gestito e governato dai Sistemi Collettivi (consorzi senza fine di lucro a cui sono associati i produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche) sotto la supervisione del Ministero della Transizione Ecologica e del Ministero dello Sviluppo Economico. Il Cdc Raee ha anche il compito di garantire, attraverso standard imposti e controlli periodici, il corretto operato degli impianti di trattamento, i luoghi fisici dove di fatto vanno a finire i televisori per essere ritrasformati in materie prime e materiale da discarica.

Lo smaltimento sostenibile non conviene

I televisori-rifiuti non passano direttamente dal Cdc Raee (a cui fanno riferimento le isole ecologiche) agli impianti di trattamento. In mezzo ci sono i consorzi dei produttori (i sopracitati Sistemi Collettivi), che, essendo senza fini di lucro, agiscono attraverso società di intermediazione. Che invece il lucro possono farlo eccome. Le società di intermediazione, a loro volta, gestiscono il servizio di logistica e indicono gare tra gli impianti di trattamento: chi paga il prezzo più alto si aggiudica i rifiuti.

Ecco perché la sostenibilità ambientale – il corretto smaltimento dei televisori – diventa economicamente insostenibile: i dieci impianti di trattamento italiani, gravati da spese importanti (costo del personale, apparecchiature, energia elettrica, autorizzazioni, etc.) – difficilmente riescono ad ammortizzare il costo sostenuto per acquistare dalle società intermediarie i televisori dismessi. E ancora più difficilmente riescono a garantire una raffinazione dei materiali, riciclando molto meno di quanto sarebbe possibile. Di fatto, il trattamento dei televisori non conviene a chi sarebbe deputato a svolgerlo secondo la legge.

Tele-civiltà

Poi ci sono anche i cittadini, che spesso abbandonano per comodità la vecchia tivù accanto ai cassonetti. La conseguenza la spiega Carmine Trecroci, coordinatore del Centro Sviluppo Sostenibilità dell’Università degli Studi di Brescia: «Non esistono statistiche del tutto attendibili in merito alla quota di televisori smaltiti in impianti autorizzati e certificati; sono numerose le segnalazioni di circuiti illegali di smaltimento, anche verso Paesi in via di sviluppo».

E a più di dieci anni dal primo shift al digitale, secondo il Centro di Coordinamento Raee 2 dei 9 milioni di televisori da rottamare sono ancora di vecchia generazione. Un dato che mette in evidenza la lentezza dell’intero processo. Nel frattempo il forte turnover degli apparecchi, incentivato dal passaggio al digitale e dai bonus tv, sta creando ulteriori ingorghi nella filiera di smaltimento.

Bonus rottamazione: un’idea green?

Il bonus rottamazione consiste in uno sconto del 20% (per un massimo di 100 euro) sulla spesa di un nuovo televisore. Ma a determinate condizioni: essere residenti in Italia; aver pagato regolarmente il canone Rai; rottamare il vecchio apparecchio acquistato prima del 22 dicembre 2018 e non compatibile con i nuovi standard. Il televisore dovrà essere consegnato al negozio, che si occuperà dello smaltimento, oppure a una discarica autorizzata, ricevendo un modulo che certifichi l’avvenuta rottamazione da presentare al momento dell’acquisto.

L’obiettivo è invogliare i consumatori a un corretto smaltimento, ma per effetto collaterale potrebbe portare molti a cambiare un apparecchio non completamente fuori uso, a cui basterebbe solo collegare un decoder. Secondo le rilevazioni GfK Market Intelligence, l’incentivo ha avuto un impatto immediato sulle vendite: nella prima settimana di validità del bonus – quella compresa tra il 23 e il 29 agosto 2021 – sono stati venduti oltre 164.000 televisori, con una crescita pari al +122% rispetto alla stessa settimana del 2020. Il trend è decisamente positivo anche rispetto alla media delle settimane da inizio 2021: +120%.

Televisore che hai, CO2 che produci

Ma quanta CO2 produce un televisore? Per saperlo bisogna calcolarne l’impronta ecologica (LCA), vale a dire la quantità di CO2 emessa durante la produzione, l’uso e lo smaltimento di un televisore. L’ha fatto la Aalborg University in uno studio ripreso successivamente dal Joint Research Centre (JRC) nel suo Technical Report per la Commissione europea. Sono stati analizzati televisori a schermo piatto a 32 e 46 pollici. Nel primo caso sono 386 i chilogrammi di CO2 prodotti da un apparecchio nel corso della sua vita, mentre per i 46 pollici si arriva 1.334 kg (l’equivalente di 11 pieni di benzina). A incidere maggiormente è la produzione, a cui è dovuto il 91% delle emissioni di CO2. In Italia si producono ogni anno 5.5 milioni di televisori e nei prossimi due anni è atteso un incremento della produzione del 30%: secondo Anitec-Assinform, usciranno dagli stabilimenti italiani 1.2 milioni di pezzi in più rispetto alla media.

Facciamo i calcoli: sono almeno 9 milioni i televisori da sostituire da qui al 2023. Ciò significa 9 milioni di apparecchi da smaltire e altrettanti da produrre, nonché un’obsolescenza forzatamente anticipata.
Nel più ecologico degli scenari, e cioè che nessuno in possesso di un televisore ancora funzionante (almeno con il decoder) decida di sostituirlo, saranno emessi tra i 3.5 e i 12 milioni di tonnellate di CO2 in più nell’atmosfera, cioè 386 kg o 1.334 kg di anidride carbonica – a seconda che si considerino televisori da 32 o da 46 pollici – moltiplicati per i 9 milioni di apparecchi da smaltire, ipotizzando che lo si faccia in maniera corretta, e produrre. Per fare un raffronto, la quantità di CO2 emessa ogni anno da un cittadino è di circa 6,5 tonnellate e una città italiana media conta circa 200.000 abitanti. Basta quindi una moltiplicazione per capire come, alla fine del passaggio al nuovo digitale terrestre, in termini di anidride carbonica prodotta sarà come se l’Italia avesse acquisito un nuovo centro urbano di dimensioni intermedie tra Firenze (350.000 abitanti) e Roma (2,7 milioni di abitanti).

Tornare indietro non si può. Ma si può attutire il colpo, a patto che tutti facciano la loro parte. I cittadini: non cambiando televisore se è possibile continuare a utilizzarlo e, in caso contrario, portandolo all’isola ecologica per il corretto smaltimento. I produttori, attraverso percorsi mirati di sostenibilità per ridurre l’impronta ecologica e il consumo energetico degli apparecchi. Il Centro di coordinamento Raee e i consorzi: rivalutando il conferimento ai centri di trattamento non solo in base all’offerta economica, ma anche su parametri di sostenibilità.

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