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L’Africa si sta spezzando in due e ora sappiamo perché: nascerà anche un nuovo oceano

Ricercatori britannici hanno determinato l’innesco del fenomeno geologico che sta letteralmente spezzando in due l’Africa. Il processo darà vita a un nuovo piccolo continente e a un nuovo oceano.
A cura di Andrea Centini
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Rendering del ramo occidentale dell'East African Rift. Credit: Wikipedia/C. Hormann
Rendering del ramo occidentale dell'East African Rift. Credit: Wikipedia/C. Hormann

È noto da tempo che l'Africa si sta letteralmente spezzando in due, un processo geologico che va avanti da milioni di anni e che darà vita a un nuovo oceano e a un piccolo continente. Nella parte orientale dell'Africa è infatti presente quella che gli scienziati chiamano East African Rift (EAR) o East African Rift System (EARS), un'immensa spaccatura lunga circa 6.400 chilometri che attraversa una decina di Paesi, fra i quali Mozambico, Kenya, Etiopia, Tanzania, Repubblica Democratica del Congo e altri. Si tratta della più grande frattura della crosta terrestre che, a causa di processi tettonici in corso, sta determinando la separazione della placca africana in due unità distinte: la placca nubiana e quella somala.

Sebbene eventi geologici di questo tipo richiedono milioni di anni per compiersi – l'allontanamento delle due placche è infatti di circa 7 millimetri all'anno – l'EARS non è uniforme e talvolta si manifesta in modo repentino e sconvolgente. Nel 2005, nella regione etiope di Afar, il rifting continentale si è manifestato in maniera esplosiva e violenta con un fortissimo terremoto, che ha aperto una spaccatura lunga 60 chilometri e larga oltre 6 metri in pochi giorni. È uno dei segni distintivi di questa separazione continentale in corso della placca africana.

Credit: Peng Jianbing / Chang'an University
Credit: Peng Jianbing / Chang'an University

Nonostante i principi di base dell'EARS siano ben conosciuti dagli scienziati, non è chiaro il meccanismo di fondo che sta determinando questa progressiva e inesorabile separazione dell'Africa, o meglio, se siano coinvolti processi vulcanici più superficiali oppure fenomeni che covano nelle profondità della Terra. Secondo una teoria accreditata vi sarebbe una colossale massa di roccia parzialmente fusa proveniente dal mantello che sta premendo e assottigliando la crosta terrestre soprastante. Questo fenomeno non solo starebbe determinando la spaccatura dell'EARS, ma spiegherebbe anche l'elevazione eccezionale del continente africano rispetto alle altre terre emerse.

Ciò che non conosciamo è la compartimentazione di questa immensa massa di materiale proveniente dalla zona di contatto tra mantello e crosta, ad esempio, se sia divisa in pennacchi più piccoli oppure se ve ne sia uno solo e gigantesco – un cosiddetto superplume o superpennacchio – che sta spingendo verso l'alto la crosta terrestre, innescando appunto la separazione della placca africana in due elementi. Secondo un nuovo e affascinante studio, basato sull'analisi dei gas nobili, i ricercatori ritengono che molto probabilmente sotto l'Africa ci sia proprio un singolo superpennacchio e non vari blocchi di roccia calda a spingere e dividere la crosta.

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A condurre lo studio è stato un team di ricerca guidato da scienziati britannici dell'Università di Glasgow e dello Scottish Universities Environmental Research Centre (SUERC), che hanno collaborato a stretto contatto con la Geothermal Development Company di Nakuru (Kenya). In parole molto semplici, durante trivellazioni commerciali condotte nel campo geotermico di Menengai nel Kenya centrale, i ricercatori guidati dal professor Fin Stuart hanno raccolto campioni di gas nobili – in particolar modo Neon – e li hanno messi a confronto con quelli delle rocce vulcaniche del Mar Rosso (sito nella zona settentrionale dell'EARS) e del Malawi, che invece si trova a sud. Incrociando i dati è emerso che i composti volatili delle varie regioni presentano tutti i medesimi rapporti isotopici, segno che a produrli vi è un unico blocco di roccia parzialmente fusa del mantello e non entità diverse, che altrimenti presenterebbero caratteristiche specifiche. È stato anche osservato che questi gas presentano la stessa composizione di quelli emessi da rocce vulcaniche delle Hawaii, dove è in atto un processo simile.

In sostanza, lo studio indica che sotto l'Africa si troverebbe un gigantesco superpennacchio di roccia calda, alla base dell'EARS e dell'elevazione del continente. I risultati collimano con quelli di una precedente ricerca condotta da scienziati statunitensi. “La nostra ricerca suggerisce che sotto l'Africa orientale è presente una gigantesca massa di roccia calda proveniente dal confine tra nucleo e mantello, che sta allontanando le placche e sostenendo il continente africano, che si trova centinaia di metri più in alto del normale”, ha affermato il professor Stuart in un comunicato stampa. “Questi gas provenienti dai nostri pozzi geotermici hanno fornito nuove preziose informazioni sulle profondità della Terra, aiutandoci a comprendere meglio non solo le forze geologiche che modellano l'Africa orientale, ma anche i processi fondamentali che guidano la formazione della superficie del nostro pianeta nel corso di milioni di anni”, gli ha fatto eco il collega Biying Chen dell'Università di Edimburgo. I dettagli della ricerca “Neon Isotopes in Geothermal Gases From the Kenya Rift Reveal a Common Deep Mantle Source Beneath East Africa” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Geophysical Research Letters.

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