La pandemia di Covid ha fatto invecchiare il nostro cervello, anche senza infezione: lo studio

La pandemia di COVID-19 ha accelerato l'invecchiamento del cervello, non solo nelle persone colpite dall'infezione del coronavirus SARS-CoV-2, ma anche in chi non è mai risultato positivo. In altri termini, la diffusione del patogeno pandemico emerso in Cina oltre cinque anni fa ha innescato un invecchiamento cerebrale generalizzato. È quanto emerso da un nuovo studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature Communications, in base al quale questo nefasto effetto sul cervello sarebbe da attribuire allo stress e alla sofferenza (anche) per le misure draconiane introdotte per spezzare la catena dei contagi. Lutti, perdita del lavoro, profondi cambiamenti nella routine quotidiana, legami sociali spezzati, impossibilità di recarsi nei luoghi del cuore e altre privazioni della libertà hanno avuto un impatto devastante sulla psiche di moltissime persone, tanto che l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha parlato di una vera e propria ondata di “erosione della salute mentale”. Il nuovo studio evidenzia che gli effetti neurologici legati alla pandemia di Covid non hanno riguardato solo le persone infettate, come ampiamente dimostrato dagli studi clinici, ma tutti quanti.
A determinare che la diffusione del SARS-CoV-2 ha provocato un'accelerazione dell'invecchiamento cerebrale anche nelle persone non infettate dal virus è stato un team di ricerca britannico guidato da scienziati del Centro di ricerca biomedica del Queen's Medical Centre e della Facoltà di Medicina dell'Università di Nottingham, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dell'Istituto nazionale per il cuore e i polmoni dell'Imperial College London. I ricercatori, coordinati dal dottor Ali-Reza Mohammadi-Nejad del Sir Peter Mansfield Imaging Centre dell'ateneo britannico e dell'Istituto nazionale per la ricerca sanitaria (NIHR), sono giunti alle loro conclusioni dopo aver messo a punto un modello di previsione dell'età cerebrale basato sull'intelligenza artificiale, che è stato addestrato su scansioni del cervello raccolte tramite risonanza magnetica (MRI) prima di marzo del 2020. Sono stati coinvolti oltre 15.000 partecipanti in salute, con un'età media di circa 62 anni e in leggera maggioranza donne. Tutti i loro dati erano contenuti nella UK Biobank, uno dei database sanitari più ricchi e approfonditi al mondo (e per questo fondamentale per molte ricerche).
Per condurre lo studio il dottor Mohammadi-Nejad e colleghi hanno applicato il nuovo modello di IA sulle scansioni cerebrali di ulteriori 996 persone, suddivise in due gruppi: quello di controllo sottoposto a due sessioni di imaging cerebrale prima dello scoppio della pandemia di Covid; e quello pandemico, sottoposto sempre a due scansioni cerebrali, ma una eseguita prima e una dopo l'avvio della pandemia. Grazie all'IA gli scienziati sono andati "a caccia" delle prove di invecchiamento cerebrale, che possono emergere dall'analisi di molteplici parametri: fra essi riduzione dello spessore della corteccia, riduzione del volume della materia grigia, anomalie nella materia bianca e altri ancora. Di fatto, la nostra età cerebrale può non corrispondere a quella anagrafica (come quella biologica in generale), a causa di eventi che possono accelerare l'invecchiamento, come appunto può essere la diffusione di un virus che ha provocato la morte di circa 7 milioni di persone secondo l'OMS, ma si tratta di un dato ampiamente sottostimato.
Incrociando tutti i dati è emerso che nel gruppo pandemico, rispetto a quello di controllo, è stata osservata una significativa accelerazione dell'invecchiamento cerebrale, di circa 5,5 mesi. “I nostri risultati rivelano che, anche con differenze di età cerebrale inizialmente corrispondenti (età cerebrale prevista vs. età cronologica) e corrispondenti per una serie di marcatori di salute, la pandemia accelera significativamente l'invecchiamento cerebrale”, hanno spiegato Mohammadi-Nejad e colleghi nell'abstract dello studio. L'invecchiamento cerebrale è risultato maggiore negli uomini e nelle persone in condizioni sociali precarie. L'aspetto più rilevante è che tale accelerazione è stata osservata in persone apparentemente non infettate dal virus, ma non si può escludere che fossero asintomatiche, come capitato a tantissimi nel corso della pandemia. Per questo i risultati dello studio vanno presi "con le pinze", come evidenziato da alcuni studiosi intervistati da Science Media Centre.
Al netto di questa considerazione, lo studio indica che la diffusione del patogeno ha avuto un impatto sulla salute del cervello anche in assenza di infezione. È doveroso sottolineare che solo le persone positive al virus hanno manifestato elementi di declino cognitivo negli appositi test, come maggiori difficoltà nel problem solving, lentezza nel ragionamento e memoria meno efficace. Un recente studio ha evidenziato che i pazienti colpiti dalla forma grave della COVID-19 possono presentare un invecchiamento del cervello di ben 20 anni dopo appena un anno. I dettagli della ricerca “Accelerated brain ageing during the COVID-19 pandemic” sono stati pubblicati su Nature Communications.