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Inquinanti banditi da decenni trovati in abisso di 8.000 metri: nessun luogo è al sicuro dall’uomo

Nel cuore della Fossa di Atacama, un abisso di 8.000 metri innanzi al Sud America, tutti i campioni di sedimento analizzati sono stati trovati contaminati dai PCB, composti chimici dannosi banditi tra gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso.
A cura di Andrea Centini
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Nella Fossa di Atacama, uno degli abissi più profondi del pianeta (8.000 chilometri) sito al largo dell'America del Sud, gli scienziati hanno trovato contaminazione di una classe di inquinanti tra i più pericolosi creati dall'uomo: i PCB, acronimo di policlorobifenili. Si tratta di composti talmente dannosi per l'ambiente e la salute – perlomeno alcuni di essi – che furono banditi a partire dagli anni '70 del secolo scorso, quando divennero chiare le conseguenze nefaste, in particolar modo per la vita marina. Commercializzati nell'arco di quattro decenni, tra gli anni '30 e l'inizio degli '80, i policlorobifenili sono stati largamente impiegati come isolanti nei dispositivi elettronici, nelle vernici, nei refrigeranti e in molti altri prodotti di uso comune, grazie alla non infiammabilità e alla stabilità chimica. Ciò ne ha permesso la diffusione e la conseguente contaminazione planetaria , poiché tra le caratteristiche dei PCB vi è anche la persistenza ambientale, a causa della difficoltà di degradazione. Ecco perché ancora oggi, a circa 50 anni dal bando (in Italia furono vietati nel 1983), è possibile trovarli ancora. Ma stupisce che a essere contaminato vi è anche uno degli abissi più remoti e profondi dell'Oceano Pacifico.

A scoprire i policlorobifenili nel fondale della Fossa di Atacama, che si estende per 6.000 chilometri al largo di Cile e Perù, è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati dell'Università di Stoccolma, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Lithospheric Organic Carbon (LOC) Group – Dipartimento di Geoscienze dell'Università di Aarhus (Danimarca), del Dipartimento di Scienze Marine dell'Università di Göteborg (Svezia) e di altri istituti. Gli scienziati, coordinati dalla professoressa Anne Sobek, docente presso il Dipartimento di Chimica e Scienze Ambientali dell'ateneo svedese, hanno rilevato i PCB dopo aver raccolto e analizzato campioni da diversi siti dell'abisso, a profondità variabili tra 2.500 e 8.085 metri. Ciascun campione è stato suddiviso in cinque strati (dal più profondo al più superficiale) e i policlorobifenili sono stati trovati ovunque. Nessuno ne era privo. La ragione di questa presenza diffusa risiede nel fatto che i PCB, impiegando decenni per degradarsi, una volta immessi nell'ambiente possono disperdersi ovunque, sfruttando correnti oceaniche, venti, fiumi e altri “mezzi di trasporto”.

I PCB, inoltre, non si degradano facilmente nell'acqua marina, ma tendono a legarsi “a tessuti ricchi di grasso e altri frammenti di organismi vivi o morti, come il plancton”, come spiegato dalla professoressa Sobek in un articolo pubblicato su The Conversation. Dato che i fondali marini sono un gigantesco deposito di composti organici in decomposizione, è proprio qui che vanno ad accumularsi questi inquinanti, anche a profondità insospettabili. La professoressa Sobek spiega che “circa il 60 percento dei PCB rilasciati durante il 20° secolo è immagazzinato nei sedimenti oceanici profondi”, compresa la spettacolare Fossa di Atacama al largo del Sud America. Curiosamente, gli scienziati hanno osservato che gli strati più superficiali avevano concentrazioni più elevate di quelli profondi, un risultato che “contrasta con quello che normalmente troviamo nei laghi e nei mari”. La ragione risiede nel fatto che col passare del tempo il loro impiego è stato diminuito e infine interrotto, pertanto è intuitivo che gli strati più profondi e vecchi siano più contaminati. Non è chiaro perché nella Fossa di Atacama avvenga il contrario; secondo gli esperti potrebbe dipendere dall'analisi non particolarmente approfondita dei sedimenti, oppure dal fatto che i PCB non abbiano ancora raggiunto i picchi massimi in questo specifico abisso.

Ciò che è certo è che la mano avida dell'uomo è visibile in ogni angolo del pianeta, anche negli habitat più remoti e inaccessibili; del resto il 100 percento dei campioni raccolti dalla Fossa delle Marianne – l'abisso più profondo in assoluto a 10.870 chilometri sotto la superficie del mare – è stato trovato contaminato da plastica, così come inquinanti sono comunqmente presenti nell'Artico, al Polo Sud e anche sulle vette più elevate della Terra. Sono circa 350mila le sostanze chimiche prodotte e utilizzate dall'uomo, per molte delle quali non sono ancora noti gli effetti sulla salute (nostra e dei milioni di altre specie che popolano il pianeta) e sull'ambiente. I dettagli della ricerca “Organic matter degradation causes enrichment of organic pollutants in hadal sediments” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Nature Communications.

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