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Forse abbiamo capito come misurare il dolore

L’attività di specifiche aree del cervello sembra coincidere con l’esperienza del dolore cronico o acuto provata da una persona.
A cura di Valeria Aiello
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Il dolore fisico, come sensazione cronica o temporanea, è un’esperienza difficile da caratterizzare perché molto complessa. La sua percezione è legata non solo alla corteccia somatosensioriale, dove il cervello riceve ed elabora le informazioni sensoriali, come il tatto e la temperatura, ma anche a regioni di elaborazione cognitiva ed emotiva del cervello, oltre ad essere profondamente intrecciata con i circuiti di aspettativa e ricompensa, così come con quelli relativi all’umore e all’attenzione. A ciò si aggiunge che il dolore può essere avvertito in modo universale ma anche soggettivo. Ad esempio, un gruppo di persone con il mal di schiena può mostrare risonanze magnetiche simili ma riportare livelli molto diversi di gravità e posizione del dolore.

Come l’esperienza del dolore differisca o si sovrapponga e quindi possa essere quantificata è pertanto rimasto in gran parte un mistero, ma un team di ricerca americano, guidato dal neurologo Prasad Shirvalkar dell’Università della California a San Francisco (UCSF), è riuscito per la prima volta a ottenere una misura oggettiva – ciò che in gergo viene chiamato un biomarcatore – del dolore e della sua gravità.

La misura del dolore

In un nuovo studio, pubblicato questa settimana sulla rivista Nature Neuroscience, Shirvalkar e i suoi colleghi hanno cercato questi biomarcatori impiantando un dispositivo di registrazione neurale nella corteccia cingolata anteriore (ACC) e nella corteccia orbitofrontale (OFC) di quattro persone (tre con dolore post-ictus e uno con dolore all'arto fantasma). L’ACC è stato a lungo implicato nella dimensione emotiva del dolore ed è associato a quella sensazione di base di “spiacevolezza”. L’OFC, che non è così ben studiato, ha invece connessioni fisiche con l’ACC e prove crescenti suggeriscono che sia attivato nella dimensione cognitiva del dolore, in particolare nell’aspettativa del dolore e la sua intensità percepita.

I partecipanti allo studio hanno svolto la loro vita quotidiana per diversi mesi e hanno riportato punteggi del dolore circa tre volte al giorno, descrivendo la gravità del dolore e come si sentivano in quel momento. Immediatamente dopo, hanno usato un telecomando per registrare 30 secondi di attività neurale attraverso il dispositivo impiantato nel cervello.

 Animazione che mostra l'attività nel cervello che coincide con il dolore all'arto fantasma riportato da uno dei partecipanti allo studio / Credit: Prasad Shirvalkar.
Animazione che mostra l'attività nel cervello che coincide con il dolore all'arto fantasma riportato da uno dei partecipanti allo studio / Credit: Prasad Shirvalkar.

Utilizzando modelli di apprendimento automatico, i ricercatori sono stati in grado associare i livelli di dolore riportati dai partecipanti con specifici modelli di attività neurale in ciascun paziente, definendo una firma neurale univoca per l’esperienza del dolore di ogni persona. E hanno scoperto che i segnali dell’OFC sono più fortemente correlati a episodi di dolore cronico rispetto a quelli dell’ACC.

Si tratta di una pietra miliare perché è la prima volta che l’attività neurale correlata al dolore cronico viene misurata nel mondo reale per un periodo di tempo clinicamente rilevante – ha affermato Shirvalkar -. Mentre i biomarcatori che abbiamo trovato erano specifici per ogni individuo, la loro posizione nell’OFC sembrava essere comune tra i partecipanti”.

Per confrontare il modo in cui il dolore cronico e quello acuto sono rappresentati nel cervello, i partecipanti sono stati anche esposti a un doloroso esperimento di stimolo termico in laboratorio. Questo test ha mostrato che, in due partecipanti, l’attività neurale associata al dolore acuto proveniva principalmente dai segnali generati nell’ACC e non durava quanto quella osservata nell’OFC durante le registrazioni correlate al dolore cronico.

La differenza tra dolore cronico e dolore acuto

Questo confronto, nonostante la piccola dimensione del campione, ha fornito la prima prova diretta che il dolore cronico e quello acuto hanno rappresentazioni diverse nel cervello, con il primo associato a segnali generati nell’OFC e il secondo a quelli nell’ACC, il che può fornire una definizione del tipo di dolore in base alla firma neurale. Ciò potrebbe aiutare gli specialisti a definire diagnosi più accurate e percorsi terapeutici più efficaci per il dolore cronico.

La speranza è che individuando i segnali cerebrali specifici alla base dell’esperienza del dolore, si possano programmare dispositivi di stimolazione cerebrale in grado di fornire stimolazione solo quando tali segnali vengono rilevati – ha aggiunto il neurochirurgo Philip Starr dell’UCSF e coautore senior dello studio – . Ciò potrebbe riportare le reti neurali del dolore a uno stato normale e sano”.

Starr, insieme a Edward Chang , presidente di chirurgia neurologica e altro autore senior dello studio, è già stato in prima linea nello sviluppo di queste strategie di neurostimolazione personalizzate per altre malattie contrassegnate da anomalie nelle reti neurali, come la depressione e il morbo di Parkinson. “Il dolore cronico si manifesta in modo molto diverso in persone diverse, il che lo rende un candidato particolarmente adatto per la neurostimolazione personalizzata – ha evidenzato Chang. -. Questo ci avvicina allo sviluppo di una nuova terapia per le persone che soffrono di dolore continuo”.

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