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Opinioni

Don’t look up non è un film sul Covid, ma sui cambiamenti climatici (e la nostra cometa è già qui)

In molti hanno visto in Don’t Look Up, l’ultima produzione Netflix, una metafora della pandemia di Covid. In realtà la pellicola vuole raccontare un’altra crisi: quella climatica, con tutte le frustrazioni, le controversie e i dibattiti che si porta dietro.
A cura di Marco Paretti
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Guardare oggi Don't look up, il nuovo film Netflix lanciato alla vigilia di Natale, può portare a un piccolo paradosso: per molti la cometa che nella pellicola sta per schiantarsi sulla terra con conseguenze apocalittiche è una metafora della Covid, ma non è così. È vero che sotto molti aspetti la trama del film si "incastra" anche in un contesto pandemico composto da scienziati, cospirazionisti, politici e aziende private, ma in realtà Don't look up, la cui lavorazione è iniziata prima dell'arrivo del Sars-Cov-2, vuole parlare d'altro: la cometa non è un virus, ma una metafora dei cambiamenti climatici.

Una metafora forzata, certo, perché la crisi climatica non è diretta, chiaramente visibile e cronometrabile come lo è una roccia di 10 chilometri che sta per schiantarsi sulla terra. Non è possibile, insomma, impostare un timer come fa Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) che indica quando avverrà l'impatto. Né la sua minaccia è circoscrivibile nel tempo e nello spazio quanto un impatto che quasi istantaneamente annulla gran parte della vita sul nostro pianeta. In questo il film si prende molte libertà, ma lo fa per raccontare una serie di elementi che da anni accompagnano il discorso sui cambiamenti climatici e che forse rappresentano le parti più interessanti del film.

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Sono le frustrazioni, le tesi cospirazioniste, le controversie e i dibattiti che in Don't look up danno vita a delle scene al limite del grottesco, ma che scimmiottano il clima che circonda la discussione attorno alla crisi climatica ormai da anni e, in particolare, nell'ultimo periodo in cui gli effetti iniziano a essere evidenti anche per il cittadino medio. Che nel mondo reale inizia a vedere quella che nel film è la cometa nel cielo stellato. In Don't look up c'è un po' di tutto, a partire dalle responsabilità di politica e settore privato, dove la difficoltà nell'implementare cambiamenti sostanziali da parte della classe politica ha portato sempre più a spostare l'attenzione verso le aziende private e le loro iniziative, in un clima in cui le ultime due amministrazioni statunitensi hanno fallito nell'approvare legislazioni che potessero avere un impatto concreto nella lotta ai cambiamenti climatici. Per questo dalla Cop26 non è uscito un accordo in grado di salvarci davvero dalla crisi.

Proprio come avviene nel film, l'approccio ora sembra essere quello di cercare una soluzione che possa sia contrastare i cambiamenti climatici che generare ricavi economici, elemento che in Don't look up non porta a risultati particolarmente positivi. Quando si scopre che l'asteroide trasporta una enorme quantità di terre rare, tutti i piani per la sua distruzione vengono bloccati: per il Presidente Janie Orlean (Meryl Streep) è un'occasione più unica che rara per diventare autonoma dalla Cina in quello che ad oggi è uno dei vantaggi più importanti del paese asiatico. Con terre rare, infatti, si intende un insieme di 17 materiali fondamentali per il settore tecnologico con i quali vengono costruiti tutti i dispositivi. Ad oggi la Cina è il maggiore produttore al mondo.

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Ma i riferimenti al discorso riguardante i cambiamenti climatici sono molti: la frustrazione degli scienziati inascoltati anche davanti all'inevitabile, la decisione del New York Herald (una rappresentazione del New York Times) di non continuare a trattare la storia perché ha generato poche visualizzazioni, la visione dei viaggi spaziali come salvezza per l'umanità e, ovviamente, la nascita di movimenti cospirazionisti. Da qui il titolo del film: se da un lato gli scienziati chiedono semplicemente di "guardare in alto" per vedere la cometa in picchiata sulla Terra, dall'altro i negazionisti chiedono l'opposto, quindi "Don't look up", "non guardare in alto". Vi ricorda qualcosa?

Se però da un certo punto di vista il film con Leonardo DiCaprio (peraltro da tempo attivista per l'ambiente) funziona nel raccontare con sarcasmo queste dinamiche, il rischio è che per certi aspetti la pellicola possa risultare anche controproducente nel suo racconto dei cambiamenti climatici. Prima di tutto perché, a differenza di una cometa, siamo noi stessi ad aver creato e ad alimentare la crisi climatica con il nostro stile di vita, con le aziende e con le scelte politiche. Non siamo inermi davanti a una pioggia di roccia e fuoco dal cielo, ma anche nel nostro (per quanto piccolo) possiamo fare delle scelte. D'altronde noi la coda della cometa la vediamo già: è la grandine che ha distrutto più volte automobili e tetti nel giro di pochi giorni, sono i 18 gradi al Polo Sud, è l'ondata di caldo in Canada e l'acqua che invade le metropolitane cinesi. Ma la verità è che la crisi climatica difficilmente avrà una conseguenza immediata e apocalittica assimilabile a quella di un impatto con una roccia grande quanto l'Everest. Allo stesso tempo, però, noi oggi diamo per scontate delle cose che in futuro potrebbero non esserci più. "Avevamo proprio tutto, se ci pensiamo bene" dice il personaggio di DiCaprio alla fine del film, in quella che forse è la chiave di lettura di tutto. Perché un mondo diverso, migliore o peggiore che sia, è imminente e inevitabile.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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