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Il più grande problema de ‘I Medici’? Una parola sbagliata

Gli scrittori più di altri devono esserne consapevoli: è sufficiente creare confusione su una sola parola per far vacillare un’intera narrazione.
A cura di Giorgio Moretti
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Premessa: guai a chi cade nella credenza a buon mercato che il valore di una fiction a tema storico stia nella sua aderenza alla cronaca originale. Chi ha mai sentito criticare i film su Robin Hood perché dopotutto Re Giovanni accettò la Magna Carta o perché Re Riccardo era antisemita?
Gli elementi di una narrazione originale – storica o inventata – possono essere ripresi da un autore in un nuovo, intrigante intreccio di storia e fantasia. È come cucinare: la ricetta tradizionale viene interpretata in maniera diversa a seconda del gusto, dell’estro, o di quello che hai in frigo.

Ma dei limiti esistono, e sono limiti linguistici. In particolare semantici, che cioè riguardano il collegamento fra un nome e ciò che descrive. È una questione di base: le cose vanno chiamate col loro nome, e quando si usa il loro nome devono essere proprio quelle cose.
In parole più semplici (tornando in cucina), si può discutere se l’aglio soffritto vada tolto o lasciato, ma non ci possono essere incertezze su che cosa è l’aglio. Se nella videoricetta mi dicono «affetta due coste di sedano» e mi fanno vedere che affettano due carciofi, la ricetta fallisce.

Così, se in una fiction sul medioevo parlo della peste nera, devo mostrare un’epidemia con un sacco di gente piagata che muore malissimo. Non posso dire «È la peste nera!» e poi mostrare degli anziani con l’osteoporosi che cadono dalle scale.
Se in un romanzo su Brunelleschi vogliamo parlare della sua invenzione della prospettiva, si deve narrare l'invenzione di una tecnica di disegno geometrico che crea l'illusione realistica di un punto di vista. Non posso scrivere «È così che funzionava la prospettiva inventata da Brunelleschi» e poi narrare una tecnica con cui schiacciava le pergamene sul volto delle persone per ricalcarlo.
E se in un musical su Napoleone parlo del Direttorio, devo far vedere un governo ristretto. Non posso cantare «Ecco arriva il Direttorio!» e far entrare in scena il Parlamento o l’esercito (per quanto il palco sia grande).

Questo perché – proprio come l’aglio e il sedano – la peste nera, la prospettiva e il Direttorio sono elementi della realtà molto specifici. E a meno di non parlare di universi paralleli, non si può spezzare il nesso fra parola e significato.

Sembrano errori impossibili? Be’, in un errore del genere sono caduti gli sceneggiatori della serie I Medici, parlando della “Signoria”.
A vederla nella serie, la “Signoria” pare che sia una sorta di consiglio. Nel salone c’è un presidente di camera, gente tutt’intorno in piedi o seduta pronta a vociare, i protagonisti intervengono con polso e piglio drammatico, preoccupati, basiti, perplessi o sorpresi, e tutto viene deciso lì.
Ma quella era la Repubblica, non la Signoria.

La Signoria ERA Cosimo de’ Medici, e la sua storia ruota proprio intorno all’instaurazione di una Signoria – prima occulta, poi palese. In generale, ogni signoria fu una forma di dominio personale, che faceva capo – manco a dirlo – a un signore, con una forte investitura popolare. E anche se la signoria poteva coesistere con le istituzioni formali di una repubblica, la signoria resta una forma di dominio personale. E infatti sappiamo che in molti casi sfociò in ducati e principati.

Semplificando, la signoria è una dittatura. E quindi nella serie ci viene presentata col nome di dittatura un’assemblea repubblicana, in cui qualcuno prende la parola e fa esiliare quello che dovrebbe essere il dittatore. Come se potesse esistere una dittatura senza dittatore, una signoria senza signore.

Qualcuno dirà: errore di poco conto, cos’e nient. Hanno dato il nome di signoria a una repubblica. Ma l’impatto di questo errore, sulla trama, è forte. Fare confusioni con parole e concetti che definiscono il contesto dell’azione la spappola, e non si capisce più chi abbia il potere di fare che cosa.
Invece di una lineare lotta politica per l’affermazione di un potere signorile di fatto dentro e sopra una repubblica, si vede Cosimo dibattersi in quella che viene presentata come una signoria assembleare, di cui dovrebbe già essere signore ma su cui non ha poi più potere di altri. I suoi obiettivi risultano inevitabilmente sfilacciati. Lo spettatore, senza potersi orientare, deve accettare ciò che accade senza farsi troppe domande. Come chi vede la videoricetta coi carciofi al posto del sedano.

Alla fine degli episodi siamo ammoniti: «Seppur ispirati a fatti realmente accaduti, nomi, eventi e personaggi presenti nella fiction sono di fantasia, frutto della libera espressione artistica degli autori. Pertanto ogni riferimento a fatti, luoghi e persone realmente esistenti è del tutto casuale.»
Ed è vero. Potevano anche dare a Cosimo il Vecchio dei poteri magici. Ma così come non potevano non farlo essere un Medici e non potevano non fare apparire piagati i malati di peste, pasticciare col concetto di Signoria significa varcare un limite di senso. Un problema linguistico che intorbida tutta la narrazione.

(Ma diamo un beneficio: non è un fatto d’ignoranza. È che incardinare fedelmente la genesi dei più alti momenti di splendore del nostro passato sull’instaurazione di autocrazie può mettere a disagio. La Repubblica minacciata non ci fa stare comodi sul divano. La Signoria confusa sì.)

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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