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Genocidio in Ruanda, 25 anni fa il massacro più cruento della storia moderna

Il 6 aprile 1994 iniziava il genocidio in Ruanda, uno degli eventi più sanguinosi della fine del XX secolo. L’odio inter-etnico fra hutu e tutsi costituì la radice scatenante di un bagno di sangue costato la vita a oltre 800mila persone. Uno sterminio che il resto del mondo non riuscì a fermare. Alcuni dei responsabili di quell’orrore sono stati condannati ma altri sono riusciti a fuggire alla giustizia.
A cura di Mirko Bellis
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Teschi umani esposti all'interno della chiesa cattolica dove migliaia di persone furono massacrate durante il genocidio in Ruanda (Afp/LaPresse)
Teschi umani esposti all'interno della chiesa cattolica dove migliaia di persone furono massacrate durante il genocidio in Ruanda (Afp/LaPresse)

Il 6 aprile 1994, l’aereo in cui viaggiava il capo di Stato ruandese, Juvenal Habyarimana, sta per atterrare a Kigali, la capitale del piccolo Paese dell’Africa orientale. A bordo c’è anche il presidente del Burundi, Cyprien Ntaryamira. I due leader, entrambi di etnia hutu, stanno tornando dalla vicina Tanzania dove hanno appena firmato un trattato di pace con i ribelli tutsi del Fronte Patriottico Ruandese (Fpr). Sono da poco passate le 20 e 30 quando un missile terra-aria colpisce il jet presidenziale, uccidendo tutti gli occupanti. L’attentato scatena uno degli eventi più sanguinosi della fine del XX secolo. Nei 100 giorni successi, si consuma un genocidio costato la vita a più di 800.000 tusti e migliaia di hutu moderati.

“Schiacciate gli scarafaggi”, la radio dà il via al massacro

Non ci sono prove che a lanciare quel missile siano stati gli oppositori dell’etnia minoritaria dei tutsi. Ma in Ruanda, l’odio inter-etnico cova da decenni. Ancora prima dell’indipendenza dal Belgio, avvenuta nel 1962, la storia del Paese è caratterizzata dagli scontri sanguinosi tra hutu e tutsi. E la morte del presidente Habyarimana è la scintilla che fa scattare la vendetta degli hutu più fanatici. Da Radio Télévision Libre des Mille Collines, nota per fare propaganda razzista contro i tutsi, si dà il via al massacro. “Sono stati quegli scarafaggi (come vengono chiamati in modo sprezzante i tutsi, ndr). È arrivato il momento di schiacciarli!”, sono questi alcuni dei messaggi d’odio lanciati dalla radio. È l’inizio della carneficina. Un’autentica caccia all'uomo in cui decine di migliaia di tutsi vengono uccisi a colpi di machete dalle milizie hutu conosciute come Interahamwe, l'ala giovanile del partito al potere, il Movimento Repubblicano Nazionale per la Democrazia e lo Sviluppo (Mrnd).

Il mondo sta a guardare 

Di fronte alla mattanza, nessuno o quasi interviene. Il generale canadese, Roméo Dallaire, a capo della missione Onu in Ruanda (Unamir), chiede invano di raddoppiare i circa 2.700 caschi blu nel Paese per impedire la tragedia. Ma le Nazioni Unite come risposta decidono invece di ritirare quasi tutto il loro contingente, lasciando solo 300 uomini. Gli Stati Uniti hanno appena effettuato il loro ritiro dalla fallimentare operazione in Somalia, e non sono intenzionati ad intervenire in un altro Paese africano. Il Belgio, l’ex potenza coloniale, si limita ad evacuare i propri cittadini. Ancora più controverso il ruolo della Francia, accusata non solo di non aver fermato il genocidio, ma di averlo in qualche modo alimentato con l’invio di armi alle milizie hutu, nonostante sapesse del bagno di sangue in corso. Il rapporto Muse, pubblicato nel 2017, afferma inoltre che i funzionari francesi fornirono protezione presso l’ambasciata ai responsabili del governo ad interim che ha governato il Ruanda durante le uccisioni di massa.

800mila morti e due milioni di rifugiati

Nel giugno 1994 inizia l’Operazione Turchese, la missione condotta dalle forze armate francesi sotto il mandato dell'Onu. Vi partecipano circa 2.500 soldati francesi più un contingente di truppe africane. Troppo pochi per fermare i fanatici hutu. La creazione di un’area nel sud-ovest del Paese (la "Zona Turquise"), per dare un rifugio sicuro alle migliaia di sfollati, non riesce a contenere le violenze e il massacro continua.

La conquista di Kigali da parte delle forze del Fronte patriottico ruandese porta alla caduta del governo ed al conseguente cessate il fuoco. Il genocidio in Ruanda termina solo a metà luglio. Per quasi 100 giorni, almeno mezzo milione di persone sono state massacrate con armi da fuoco, machete e bastoni chiodati. Le stime delle vittime sono tuttavia cresciute fino a raggiungere oltre 800mila morti, prevalentemente di etnia tutsi. Ma le violenze colpiscono anche gli hutu moderati che provarono ad opporsi alla strage. La vittoria del Fronte patriottico ruandese sulle forze governative causa l’esodo di circa due milioni di hutu che trovano riparo nell'allora Zaire (oggi Repubblica democratica del Congo).

Tribunale penale internazionale per il Ruanda: le condanne ai responsabili

Nel novembre 1994 viene istituito il Tribunale penale internazionale per il Ruanda (Ictr – International Criminal Tribunal for Rwanda) per giudicare i responsabili del genocidio e di altre gravi forme di violazioni dei diritti umani. Tra gli accusati, Léopold Munyakazi, un docente universitario espulso dagli Usa e rimpatriato in Ruanda nel 2016. Condannato prima all'ergastolo, un tribunale ruandese nel 2018 gli ha ridotto la pena a nove anni. Jean Twagiramungu, un ex insegnante, è stato estradato in Ruanda dalla Germania per essere processato. E’ accusato di aver pianificato e commesso genocidio nell'allora prefettura di Gikongoro (ora provincia Meridionale).

Bernard Munyagishari, un ispettore scolastico, condannato all'ergastolo per genocidio e crimini contro l’umanità. Altri sospettati di aver avuto un ruolo nella mattanza sono ancora a piede libero. Come Enoch Ruhigira, aiutante dell’ex presidente ruandese Juvénal Habyarimana, arrestato in Germania nel 2016 con l’accusa di genocidio e rilasciato a marzo dell’anno dopo. Il Tribunale penale internazionale per il Ruanda ha terminato il suo mandato a fine 2015. Delle 90 persone incriminate, 8 sono ancora in libertà, tra cui Augustin Bizimana, l’ex ministro della difesa, o Protais Mpiranya, l’allora capo della guardia presidenziale.

Le commemorazioni per il 25° anniversario del genocidio

Da circa vent'anni in Ruanda è al potere Paul Kagame, capo militare tutsi all'epoca dello sterminio. Sarà lui a presiedere allo stadio di calcio di Kigali le cerimonie per commemorare il 25° anniversario del genocidio. Una strage su base etnica che il mondo pensava non fosse più possibile dopo gli orrori perpetrati dal nazismo in Germania o da Pol Pot in Cambogia. Per ricordare le vittime del massacro sono attesi diversi leader africani. Sarà presente anche Charles Michel, primo ministro del Belgio, non ci sarà invece il presidente francese Macron che ha declinato l’invito suscitando non poche polemiche. “Il Ruanda e tutta la regione sono ancora alle prese con le conseguenze del genocidio”, ha dichiarato Kenneth Roth, direttore di Human Rights Watch. "Venticinque anni dopo, le vittime e i sopravvissuti devono essere ricordati da tutti, ma dovremmo anche fare il punto sulla necessità di accertare la responsabilità di tutti coloro che hanno diretto questi orribili atti”.

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