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Ferguson, parla l’agente che ha ucciso Brown: “Ho fatto solo il mio lavoro”

“Mi dispiace molto, per la perdita di una vita, ma ho fatto semplicemente il mio lavoro”: mentre a Ferguson, dopo la decisione del Gran giurì sul poliziotto che ha sparato al 18enne nero Michael Brown, continuano gli scontri, lo stesso agente ha detto la sua alla Abc News.
A cura di Susanna Picone
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Dopo la decisione del Gran giurì di non incriminarlo per la morte del 18enne nero Michael Brown ucciso il 9 agosto scorso a Ferguson, in Missouri, è lo stesso poliziotto Darren Wilson a parlare. L’agente ha detto la sua nel corso di un’intervista alla Abc News. E ha detto di essere dispiaciuto per la perdita di una vita ma di aver fatto semplicemente il suo lavoro. L’intervista rilasciata alla Abc News è la prima del poliziotto, dal giorno della morte di Brown l’agente Wilson non era, infatti, mai comparso in pubblico. “Ho la coscienza pulita”, ha spiegato Wilson, “perché stavo facendo il mio lavoro”. L’agente ha dunque ricordato quanto accaduto quel giorno di agosto a Ferguson, quando ha affrontato il 18enne dopo averlo fermato perché sospettato di un furto: “Mi ha sbattuto la portiera contro, ho cercato di respingerlo e mi ha dato un pugno, c'è stata una colluttazione. Ho cercato di afferrare il suo braccio, mi sono reso contro della forza che aveva. Mi sembrava Hulk”. “Quando gli ho detto di allontanarsi altrimenti avrei sparato, lui ha messo le mani sull'arma, ha cercato di afferrala. Allora ho sparato. Lui si è arrabbiato di più. È uscito dall'auto ed è fuggito, mentre io chiedevo rinforzi”, ha continuato il poliziotto parlando col giornalista. L’agente ha anche detto che Brown non aveva le mani alzate, come hanno detto alcuni testimoni: “Quando si è avvicinato mi sono chiesto: posso legalmente sparargli?' E mi sono detto che dovevo farlo e ho sparato. Mi dispiace, ma non avrei fatto nulla di diverso quel giorno. La mia coscienza è a posto”.

Caso Ferguson, Obama condanna le violenze

La decisione del gran giurì di non incriminare Wilson ha scatenato delle proteste a Ferguson ma anche in altre città americane e ha spinto lo stesso presidente Barack Obama, che già nei giorni scorsi aveva chiesto di non lasciarsi andare alle violenze, a parlare nuovamente del caso Michael Brown. Da Chicago Obama ha spiegato che “dare fuoco ad edifici, bruciare auto” sono atti distruttivi e che “non ci sono scuse per questo”. Ma “le frustrazioni che abbiamo visto non sono solo per un particolare incidente, hanno radici profonde in molte comunità”, ha aggiunto il presidente secondo il quale il problema non è solo di Ferguson, ma dell'America. Per questo, ha continuato Obama, “lavorerò con tutti coloro che vogliono fare un passo avanti rispetto a ciò che accaduto a Ferguson, in modo costruttivo. Non ho simpatia per chi crede che i fatti di Ferguson siano una scusa per esercitare la violenza”.

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