Tu ci andresti in guerra?

«Se il mio Paese entrasse in guerra mi sentirei responsabile e se servisse mi arruolerei. Quanto sei d’accordo con questa affermazione?». Questa domanda non è il passaggio di un romanzo distopico, tantomeno un test attitudinale per l’ingresso dell’Accademia militare di Modena. È una delle domande che il Garante per l’infanzia e l’adolescenza ha inserito nella "Consultazione pubblica sul futuro", un questionario sottoposto in queste settimane a circa 4.000 ragazzi e ragazze tra i 14 e i 18 anni.
Tra quesiti sull’ambiente e sulle aspettative lavorative, si parla quindi anche di guerra e di arruolamento.
Una domanda che va oltre le poche righe e che ci parla di un normalizzazione della guerra sempre più evidente in Europa e in Italia.
Il riarmo europeo e la leva militare
Non è un caso isolato quello italiano, anzi, è uno dei tanti tasselli che a livello continentale stanno costruendo la grande operazione di riarmo messa in piedi dalla Commissione Europea, fortemente voluta direttamente dalla Presidente Von der Leyen e dal commissario alla difesa lituano Andrius Kubilius.
L’idea che imbracciare un fucile sia un’opzione plausibile per un adolescente del 2025 non arriva dal nulla infatti ma da un cortile di una scuola di Udine, dove poche settimane fa gli studenti hanno assistito per volontà della dirigente scolastica ad una sfilata di carri armati. Non altro, non in una caserma, direttamente nel cortile di scuola. Una mostra dell’Esercito per celebrare il 4 novembre. Eppure, l’immagine dei cingolati parcheggiati in un luogo di cultura e formazione ha scosso molti genitori e docenti che hanno ricordato come la scuola dovrebbe restare fuori dalla propaganda bellica.
È il "nuovo realismo" europeo, dicono i politici, che si muovo di conseguenza. Il ministro della difesa Crosetto ha detto chiaramente che le Forze Armate hanno bisogno di numeri. La sua proposta di istituire una Riserva Ausiliaria dello Stato punta a reclutare 10.000 volontari da addestrare e tenere pronti in caso di necessità.
Sebbene si parli ancora di base volontaria, la direzione è chiara: l'esercito professionale, piccolo e iper-tecnologico, non basta più per gli scenari che si profilano all'orizzonte. La "leva" non è più una parola tabù, ma un’ipotesi di lavoro concreta sulla quale stanno lavorando praticamente tutti i Paesi Europei.
Svezia, Lettonia e Lituania hanno rentrodotto la leva obbligatoria, dal 1 gennaio lo sarà anche in Croazia, mentre Finlandia, Estonia, Grecia, Danimarca, Norvegia e Austria non l’hanno mai eliminata. Se guardiamo la cartina, tutto il Nord e Est Europa ha la leva obbligatoria.
La guerra inevitabile con la Russia
Ma perché questa fretta?
La risposta arriva da Bruxelles e da Londra. Mark Rutte, Segretario Generale della NATO, ha da poco dichiarato che la Russia non si fermerà all'Ucraina e che gli Alleati devono prepararsi a un confronto diretto, aumentando la produzione bellica e la prontezza operativa. Ancora più espliciti sono i dispacci dell’intelligence britannica: secondo gli analisti di Londra, Mosca potrebbe ricostituire e potenziare il suo apparato militare a tal punto da sferrare un attacco contro un Paese NATO entro il 2030-2035.
Anche le due potenze economiche e militari europee non sono da meno: la Germania ha schierato 10.000 soldati sul confine lituano con la Russia, è la prima volta dalla seconda guerra mondiale che le truppe tedesche sono presenti in Europa fuori dai propri confini. E sia la Germania che la Francia stanno già convertendo le infrastrutture civili. Parigi ha ordinato ai suoi ospedali di predisporre piani per accogliere massicci afflussi di feriti di guerra entro il 2026, addestrando i chirurghi civili alla medicina di guerra. Berlino ha attivato l’Operationsplan Deutschland, un protocollo che trasforma la Germania in un gigantesco hub logistico per le truppe alleate, prevedendo l'uso prioritario di strade, ferrovie e, soprattutto, strutture sanitarie per esigenze militari, anche a discapito dei civili.
La militarizzazione della società civile
L'Europa si sta militarizzando non solo negli arsenali, ma nelle menti e nelle strutture sociali. La guerra non è più un evento remoto da guardare al telegiornale, come abbiamo fatto con Gaza o con l’Ucraina o in passato con i Balcani, ma qualcosa di concreto che intacca anche le leggi di bilancio. Si sta creando un'assuefazione al conflitto, una lenta erosione della pace come stato naturale delle cose. E così, quella domanda nel questionario per gli adolescenti non è un errore, ma un alert che tutti dobbiamo recepire.
Quel mondo ci sembrava archiviato in Europa ma sia noi che le future generazioni dobbiamo farci i conti: tu ci andresti in guerra?