“Sono una cattiva madre, solo così posso salvarla”, 42enne uccide la figlia di 2 anni annegandola in un lago

Una tragedia senza senso ha colpito la comunità di Kingsley, Bordon, Hampshire, dove Alice Mackey, 42 anni, è stata condannata a quattro anni di carcere per la morte della sua figlia di due anni, annegata in uno stagno vicino alla loro abitazione. La vicenda, che ha scosso profondamente familiari e vicini, getta luce su un dramma psicologico e familiare di rara intensità.
Il 10 settembre 2023, Alice aveva portato la sua bambina nello stagno a soli 300 metri da casa. Lì l’ha trattenuta sott’acqua fino a quando la bambina ha smesso di divincolarsi, provocandone la morte. Quando i soccorsi sono arrivati, la bambina era già in condizioni critiche: trasportata in ospedale, è deceduta il pomeriggio successivo, quando le macchine di supporto vitale sono state spente.
Secondo le autorità, Mackey ha cercato di depistare gli investigatori, chiamando il numero d’emergenza e raccontando versioni contraddittorie: prima sostenendo che Annabel fosse stata portata via da qualcuno, poi affermando di averla trovata nello stagno.
Il giudice della Corte di Winchester, Mr Justice Saini, ha sottolineato il quadro psicologico della donna: convinta in modo delirante che “il miglior modo per proteggere Annabel da una cattiva madre fosse ucciderla”, Mackey credeva falsamente che la figlia stesse soffrendo sotto le sue cure. “Nel suo stato delirante”, ha aggiunto il giudice, “considerava questo un atto di pietà”.
Le perizie psichiatriche hanno rivelato che Mackey soffriva di disturbi che le impedivano di prendere decisioni razionali al momento dell’omicidio. Dopo la nascita di Annabel aveva attraversato un periodo di depressione post-partum e ansia, trattata con farmaci antidepressivi e antipsicotici. Nel maggio 2022 era stata ricoverata per un mese in un ospedale psichiatrico prima di essere dimessa in regime di cure comunitarie. L’interruzione dei farmaci nel gennaio 2023 aveva aggravato il suo stato mentale, senza che nessuno sospettasse la gravità della situazione.
Il padre della bimba, Peter Mackey, ha raccontato in aula il dramma vissuto: “La sua perdita ha devastato ogni aspetto della mia vita. Sono tormentato dal pensiero di come mia figlia sia stata uccisa, dal dolore e dalla paura che deve aver provato. Sento un senso di colpa costante per non essere stato a casa quel giorno”. Ha ricordato la figlia come “una bambina di due anni e mezzo piena di empatia, felice e premurosa, capace di riempire la vita di chi le stava intorno di gioia e amore”.
L’atto di Alice Mackey è stato definito dai magistrati premeditato, un vero e proprio abuso di fiducia, poiché il padre era assente e la bambina si trovava solo con la madre. Durante l’udienza, l’avvocato difensore, Patrick Gibbs KC, ha sottolineato il profondo rimorso della donna: “Si pente sinceramente per la perdita di Annabel e per il dolore inflitto a chi le voleva bene. Prega ogni giorno che la bambina fosse ancora viva”.
Alice Mackey, che lavorava in una scuola per bambini dai quattro ai cinque anni frequentata anche dalla figlia, ha seguito la lettura della sentenza seduta, con lo sguardo basso, indossando occhiali, camicia bianca e giacca blu scuro. La sua vita era stata segnata da numerosi traumi personali: aborti spontanei, gravidanze ectopiche e precedenti ruoli di responsabilità educativa durante la permanenza della famiglia a Londra.