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Conflitto Israelo-Palestinese

Qual è il ruolo della Turchia nella guerra Israele-Hamas: “Erdogan può diventare leader nella regione”

La professoressa Daniela Pioppi dell’Università “Orientale” ci spiega il clima negli altri paesi della regione e il ruolo del presidente turco Erdogan. Sull’estensione del conflitto: “Solo gli Usa possono fermare l’escalation”.
Intervista a Daniela Pioppi
Docente di Storia contemporanea dei paesi arabi, Università di Napoli, "L'Orientale"
A cura di Antonio Musella
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L'ulteriore escalation della guerra a Gaza con l'inizio delle operazioni di terra da parte dell'esercito israeliano getta benzina sul fuoco in Medio Oriente. Oltre al fronte aperto da Hamas e Israele i paesi del circondario vivono una situazione interna incandescente con una spinta popolare nell'opinione pubblica dei paesi arabi limitrofi che spinge a delineare un contesto regionale rovente, con la possibilità di estensione del conflitto.

Mentre dall'Iran arrivano quotidianamente messaggi bellicosi contro Israele, in Libano le milizie del movimento islamico Hezbollah e l'esercito israeliano hanno già iniziato le scaramucce belliche con lancio di razzi da tutte e due le parti. Sullo sfondo restano l'Arabia Saudita e la Turchia, quest'ultima in particolar modo con il suo presidente Recep Erdogan, che già da tempo ha iniziato un percorso in politica estera per ambire al ruolo di leader politico della regione.

Ne abbiamo discusso con la professoressa Daniela Pioppi, docente di storia contemporanea dei paesi arabi all'Università di Napoli "L'Orientale".

Il clima nei paesi arabi in Medio Oriente sembra davvero rovente, cosa sta succedendo nella regione?

Per comprendere quello che sta avvenendo non dobbiamo avere una chiave di lettura "confessionale", non c'è oggi un blocco dell'islam sunnita che si contrappone ai paesi sciiti come Iran e Libano. Le organizzazioni politiche giocano un ruolo molto diverso e anche con obiettivi diversi. Tra i movimenti sunniti ad esempio i Fratelli Musulmani, presenti in Giordania, in Egitto, in Turchia, sono tutti cresciuti in contesti diversi e quindi hanno obiettivi diversi che tengono conto dei contesti nazionali. Detto questo l'opinione pubblica araba è estremamente a sostegno della causa palestinese, in maniera anche evidente con manifestazioni pubbliche. Pertanto tutti i governi devono tenere conto di questa spinta popolare che esiste. Succede in Turchia come in Arabia Saudita ad esempio. I governi non possono non tenerne conto, la monarchia saudita stava per firmare gli "accordi di Abramo" che avrebbero normalizzato le relazioni con Israele, ma sono accordi che non tengono in considerazione la questione palestinese. Un punto che ha pesato e pesa moltissimo nell'opinione pubblica araba. Tutto è saltato con l'aggravarsi del conflitto, ma oggi l'Arabia Saudita deve seguire un percorso diverso, molto più attento, hanno la necessità di non farsi vedere come subordinati ad Israele, ed allo stesso tempo mantenere un profilo da "difensore" delle cause arabe e islamiche.

Erdogan che ruolo sta giocando in questo momento?

La Turchia già da tempo sta facendo un percorso di recupero della propria centralità nella regione. Si parla nel caso di Erdogan di neo ottomanismo, un recupero di una leadership regionale non necessariamente fatta seguendo i dettami di sicurezza che arrivano dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea. Erdogan è il leader di un partito islamico, non può non essere visto come difensore di una serie di cause tra cui quella palestinese che sono viste in maniera importante nella regione, dall'opinione pubblica turca. Ne è un esempio il fatto che Erdogan ha detto che Hamas non è un'organizzazione terroristica. In verità è una visione questa molto diffusa in tutta la regione, dove Hamas viene vista come una delle organizzazioni della resistenza palestinese e non può essere liquidata come organizzazione terroristica. Sarebbe più oculato, in generale, definire le azioni di Hamas di tipo terroristico piuttosto che l'organizzazione stessa. Soprattutto definire semplicemente Hamas come terrorista non aiuta a trovare un percorso di pace, la pace si fa con i nemici. Ricordiamo che anche l'OLP di Arafat poco prima di firmare gli accordi di pace di Oslo era considerata una organizzazione terrorista da Israele e Usa.

Manifestazione pro Palestina a Istanbul
Manifestazione pro Palestina a Istanbul

C'è una continuità del ruolo che la Turchia prova a giocare nel conflitto tra Russia e Ucraina e quello in Medio Oriente?

Assolutamente sì, prendendo una posizione più equidistante ci si ritaglia un ruolo che può essere decisivo e si aumenta l'influenza in politica estera che può giocare la Turchia. È quello che sta provando a fare Erdogan da un po'. Nel conflitto tra Russia e Ucraina si è mantenuto equidistante, ha favorito l'accordo per il commercio del grano. Ma non solo anche nello scenario siriano ha provato ad avviare un percorso negoziale alternativo a quello guidato da Europa e Stati Uniti. La Turchia vuole ritagliarsi un ruolo autonomo e di leadership e l'attuale scenario globale agevola questo tentativo: più cresce la conflittualità a livello internazionale e più ci sono margini di manovra per alcune potenze regionali come la Turchia. In modalità diverse, insieme al Qatar, la Turchia sta provando a giocare una partita su se stessa. La Turchia non ha certo la coscienza pulita, basti pensare alla questione dei kurdi o a quella siriana, ma può ricevere una legittimità da altri paesi arabi in questo momento. Per farlo chiaramente si nutre anche della pressione popolare a sostegno della Palestina che vive anche nell'opinione pubblica turca. Poi esiste sempre una distanza tra ciò che si dice e ciò che si fa.

C'è il rischio di una reale escalation del conflitto che possa coinvolgere gli altri paesi della regione?

Se ci sarà un allargamento del conflitto a livello regionale dipenderà molto da cosa decidono di fare Israele e gli Stati Uniti. Obiettivamente gli Stati Uniti sono l'unico attore capace di mettere un freno ad Israele. L'Iran non trarrebbe nessun vantaggio ad entrare nel conflitto realmente. Hezbollah ha fatto delle scaramucce al confine con Israele, ma non ha nessun vero interesse a scontrarsi in modo diretto. Certo, più la situazione degenera, più aumentano i morti palestinesi, più c'è un appoggio unanime alle politiche di Israele da parte di Usa ed Europa e più questi paesi che si autoproclamano come "l'asse di resistenza" sono tirati in ballo, perché non possono far finta di nulla. Secondo i principali osservatori internazionali siamo ancora davanti a piccole scaramucce, i razzi vengono lanciati ma non colpiscono obiettivi sensibili. Certo, basta un errore, un razzo che colpisce una scuola in Libano e può succedere di tutto. Chi ha in mano le chiavi della descalation sono gli Stati Uniti, vedremo cosa decideranno di fare nei prossimi giorni, da quello dipende molto dell'andamento del conflitto.

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