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Profughi afghani nell’hotspot di Samos: “Sembra una prigione, ingressi e uscite contingentati”

Sono migliaia i profughi afghani che da mesi aspettano di poter lasciare gli hotspot per raggiungere luoghi sicuri. “Ho mentito a mia figlia – spiega un padre in attesa di entrare nell’hotspot di Samos-. Le ho detto che saremmo andati ad Atene, invece siamo in attesa di entrare nell’ennesimo campo profughi. Sembra una prigione, gli ingressi sono contingentati”
A cura di Gabriella Mazzeo
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La caduta dell'Afghanistan nelle mani dei talebani lo scorso 15 agosto ha spinto migliaia di persone a cercare una via d'uscita dal paese. Gli Stati occidentali hanno organizzato le evacuazioni per portare via dall'Afghanistan i diplomatici e coloro che hanno collaborato con i Paesi esteri negli anni. Tanti altri, invece, non sono riusciti a fuggire. Altri ancora sono attualmente prigionieri dei campi profughi. La Grecia ha completato a fine agosto la costruzione di un muro di oltre 40 chilometri alto cinque metri alla frontiera con la Turchia. Le recinzioni sono state estese lungo il fiume Evros.

Negli ultimi anni sono stati circa 40mila i profughi arrivati in Grecia. Al momento, i numeri sono aumentati fino a toccare la quota dei 60mila migranti. Sull'isola di Samos, l'ong Still i Rise ha denunciato abusi fisici, psicologici ed emotivi soprattutto nei confronti di bambini e adolescenti. Qui si concentrano molti dei profughi provenienti dall'Afghanistan. "Ho mentito a mia figlia – racconta un padre disperato in attesa di entrare in quello che avrebbe dovuto essere un centro di riconoscimento veloce e smistamento dei migranti in attesa -. Le ho detto che saremmo andati ad Atene, invece stiamo per entrare nel campo di Samos. Sembra una prigione". E in effetti, nonostante le nuove tecnologie volte a "migliorare la vita degli ospiti", le misure di sicurezza dell'hotspot sono molto più simili a quelle di un carcere di massima sicurezza. Le entrate e le uscite sono contingentate, regolate da un sistema di riconoscimento delle impronte digitali del personale e dei migranti presenti. Il campo, destinato a essere un luogo di accoglienza provvisorio, diventa però di solito il luogo in cui minori e adulti restano per mesi.

"Gli hotspot, voluti dall'Europa nel 2015 per gestire la crisi migratoria, sono spesso luoghi di violenza anche sui bambini" spiega l'ong Still I Rise. Il report è stato realizzato anche grazie all'aiuto dei minori stessi: proprio loro hanno fornito le prove di quanto subito.

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