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Guerra in Ucraina

Perché non esiste l’asse contro l’Occidente e non siamo (ancora) alla Terza guerra mondiale

Con la co-belligeranza di fatto della Corea del Nord e le recenti escalation, la dimensione internazionale del conflitto ucraino si allarga ma non è ancora una guerra tra autoritarismi e democrazie. Il diplomatico inglese Gould a Fanpage.it: “Putin vuole una coalizione anti-imperialista”. Ma la Cina “non vuole guerre con l’Occidente”, replica l’analista Zhao. Tutto dipenderà dai rapporti fra Putin e Trump e dagli obiettivi di Xi Jinping.
A cura di Riccardo Amati
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Vladimir Putin per le sue esigenze belliche trova aiuto nelle autocrazie. Sta cercando di formare una sorta di patto d’acciaio dell’illiberalismo contro quello che definisce “Occidente collettivo”. Le implicazioni sarebbero molteplici e profonde per la stabilità internazionale e per la sicurezza, soprattutto europea. Il leader del Cremlino dovrà comunque fare i conti con l’oste. Anzi con due: Xi Jinping e Donald Trump. Perché da loro, e non da Putin, dipende in gran parte l’ordine mondiale.

"L'asse" delle potenze revisioniste

"Il presidente della Federazione Russa vuole farsi capo di una coalizione anti-imperialista”, dice a Fanpage.it Nigel Gould-Davies, accademico di Oxford in forza all’Istituto internazionale per gli studi strategici (Iiss), dopo una carriera diplomatica che lo ha visto responsabile economico della legazione britannica a Mosca e ambasciatore a Minsk. "Putin ha una curiosa nostalgia della Guerra fredda, anche nella terminologia che utilizza. Anela a un mondo in cui le grandi potenze dominano e gli altri Paesi si adeguano”. Con buona pace degli apostoli del multipolarismo nella versione sbandierata dalla diplomazia e dagli ideologi di Mosca.

Fatto sta che decine di migliaia di soldati nordcoreani stanno combattendo a fianco delle forze armate russe contro quelle ucraine. Avviene in Europa, dove la cosa è passata quasi in sordina. È la maggiore escalation dall’inizio dell’invasione. Altro che ATACMS.

Al contempo, centinaia di droni iraniani Shahed colpiscono l’Ucraina. Teheran oltre alle armi ha passato ai russi i disegni per costruirle. Ora se li fabbricano da soli. Gli Usa ritengono che la Repubblica islamica abbia rifornito la Russia anche di missili balistici a corto raggio Fath 360.

La Cina è accusata di sostenere l’industria militare di Mosca con alta tecnologia a doppio uso, civile e bellico. Washington ha appena sanzionato due aziende cinesi per aver spedito in Russia sistemi d’arma completi. Al vertice NATO dello scorso luglio, il Paese di Xi Jinping è stato definito ufficialmente “facilitatore decisivo” della guerra di Putin

Sia la Cina che l’Iran hanno sempre negato ogni sostegno allo sforzo bellico russo. L’Iran lo ha fatto anche di fronte all’evidenza di frammenti di suoi droni sul suolo ucraino. Neppure la Corea del Nord ha ufficialmente ammesso la presenza di sue truppe al fronte. Eppure, secondo Kiev e notizie giornalistiche concordanti, ha già subito perdite.

Tra gli osservatori e i politici occidentali, c’è chi definisce il blocco pro-Putin un "asse della rivolta”, altri lo descrivono come un "asse delle potenze revisioniste" o un "asse di partnership maligne”. Sta tornando a circolare persino il termine "asse del male", coniato dal presidente George W. Bush nel suo discorso sullo stato dell'Unione del 2002 a a proposito dell’Iran, dell’Iraq di Saddam Hussein e della Corea del Nord. Il premio dell’originalità va all'Halifax Security Forum, che si è inventato l’acronimo “Crink”, ovvero China-Russia-Iran-North Korea.

Effetti destabilizzanti

Vale la pena ricordare che tre dei "Paesi Crink" sono potenze nucleari, mentre l’Iran, pur non avendo l’arma atomica, potrebbe costruirla in poche settimane e renderla operativa entro sei mesi, secondo gli esperti. La collaborazione tra i Crink influisce simultaneamente sulle guerre in Europa orientale e in Medio Oriente, nonché sulla situazione critica dell’Asia orientale, connettendo pericolosamente le tre crisi. Alcune conseguenze destabilizzanti sono già evidenti.

“Putin ha ripagato Kim Jong-un per la co-belligeranza di fatto contro l’Ucraina con un aiuto diplomatico, economico e tecnologico”, nota Gould-Davies. Ricordando il veto della Russia che ha impedito all’Onu di estendere il monitoraggio sulle armi nucleari di Pyongyang: “Ora la Corea del Nord ha in pratica le mani libere per sviluppare i suoi programmi per i missili balistici”.

Oltre al beneficio economico di comprare il petrolio della Siberia a prezzi stracciati, il diplomatico britannico evidenzia il trasferimento da parte di Mosca di tecnologie balistiche e satellitari. Sono state fondamentali per il lancio di un satellite nordcoreano, un anno fa. “I razzi che mettono in orbita satelliti possono trasportare testate nucleari su mezzo mondo”, osserva Gould-Davies.

Si assiste a un fitto scambio di incontri e visite reciproche, tra Russia e Corea del Nord. A livello di capi di Stato, ministri della Difesa e responsabili dell’intelligence. A ufficializzare la densità dei contatti è stata la firma, nel giugno scorso, del Trattato comprensivo di partnership strategica tra i due Paesi.

Un accordo simile sarà presto firmato anche con l’Iran, ha dichiarato il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov. Nigel Gould-Davies sottolinea che il crescente avvicinamento della Russia a Teheran “compromette l’equilibrio delle relazioni russe con gli altri Paesi del Medio Oriente”. Gli Stati del Golfo guardano con preoccupazione a qualsiasi cosa rafforzi l’Iran. Figuriamoci poi Israele.

La Russia ha fatto piazza pulita del capolavoro diplomatico-militare compiuto in Medio Oriente. Dove prima dell’invasione dell’Ucraina era riuscita ad instaurare buoni rapporti con quasi tutti i Paesi della regione, compresi quelli nemici tra loro. Il cambiamento di rotta implica la perdita della credibilità come possibile mediatore e di ogni capacità di frenare Israele nel conflitto in corso. Ed è tra i motivi della ripresa su vasta scala della guerra civile in Siria.

La Cina non ci sta 

Ma, almeno per ora, esistono chiari limiti a un coordinamento strutturato dell’ “asse” dei Crink. Tra questi, la carenza di fiducia reciproca, la coincidenza di interessi circoscritta ad alcuni obiettivi particolari e la mancanza della volontà di lavorare insieme per finalità più vaste. I quattro Paesi hanno tra di loro una cooperazione individuale, le relazioni restano bilaterali e finalizzate a scopi ristretti. L’unico collante è che sono governati da regimi autoritari e che vedono gli Stati Uniti come avversario.

A rallentare è soprattutto Xi Jinping. “La Cina è sempre più a disagio per la cooperazione in materia di sicurezza tra Russia e Corea del Nord”, spiega a Fanpage.it Tong Zhao, analista dei programmi Cina e politica nucleare del think tank Carnegie. “Questa partnership intensifica le tensioni in Europa orientale e in Asia, minacciando gli interessi strategici di Pechino”. L'invio di truppe nordcoreane, in particolare, potrebbe prolungare la guerra in Ucraina, “richiamando costantemente l'attenzione internazionale sull'allineamento della Cina con il nascente ‘asse delle autocrazie’ e compromettendo gli sforzi diplomatici cinesi per migliorare i rapporti con i paesi europei”, aggiunge Zhao.

L’interesse principale della Cina è di tenere aperti gli sbocchi vitali per il proprio commercio. Nonostante l’infittirsi di scambi seguito all’invasione dell’Ucraina, con poco più di 240 miliardi di dollari, Mosca rappresenta ancora solo il 4 per cento del commercio di Pechino. Che con l’Europa conta per 800 miliardi e con l’America per 860. Squilibri che pesano, nel rapporto tra i due partner, che si sono definiti “amici senza limiti” ma mai “alleati”. Ci sono motivi di contrasto strategico, di cui il trattato Russia-Corea del Nord è un esempio.

“L’eventuale partecipazione russa al programma nucleare nordcoreano costituirebbe una sfida al regime internazionale di non proliferazione, nel quale la Cina ha un forte interesse”, spiega Tong Zhao. “Aumenterebbe la percezione del rischio per la sicurezza in Giappone e Corea del Sud, che potrebbero chiedere agli Usa di ampliare il loro ombrello difensivo e aumentare la loro presenza militare nella regione”. Cosa che Pechino vede come il fumo negli occhi.

Inoltre, la presenza di truppe nordcoreane in Europa “aumenta la probabilità di una ‘NATO asiatica’ nel Pacifico occidentale”. La Cina vuole evitare tali sviluppi. “I leader cinesi diffidano dell’inclinazione al rischio di Putin e Kim e temono di essere trascinati in un conflitto non desiderato con l’Occidente”, afferma l’analista. Pechino considera utile la cooperazione strategica con Russia e Corea del Nord solo se può mantenere il controllo, bloccando eventuali iniziative avventate dei due partner minori.

Una sveglia per l’Europa

Che siamo lontani dalla formazione di un fronte della rivolta anti-occidentale con Putin alla guida lo dimostra anche la posizione dei Brics, altro acronimo — in questo caso ufficiale — che si riferisce al raggruppamento delle economie di Brasile, Russia, Cina, Sudafrica, Egitto. Emirati Arabi e Iran. Il vertice di ottobre a Kazan, Federazione Russa, è stato una passerella importante per il leader del Cremlino. Ha dimostrato di non essere isolato nell’arena internazionale.

Ma il messaggio inviato dal club che ha ospitato è stato per un sistema economico globale più inclusivo. L’esplicita richiesta di formare un fronte comune per creare un nuovo ordine internazionale a spese dell’Occidente non è stata recepita. La dottrina di politica estera della Russia, aggiornata lo scorso anno, punta tutto sui rapporti con il Sud del pianeta e ha raggiunto risultati, ma non ha costruito grandi alleanze.

Secondo Gould-Davies, alla fine il presidente russo — ispirato dalla politica delle grandi potenze nei secoli passati e dalla nostalgia della Guerra fredda — potrebbe fare appello a Donald Trump per una specie di patto tra più o meno cordiali nemici, volto a costruire rapporti internazionali controllati da Cina, Usa e Russia. Che deciderebbero su tutto o quasi passando sopra la testa degli altri Stati, considerati minori. “È la visione del mondo che Putin ha in testa, quella che vuole restaurare”, argomenta il diplomatico britannico. Spaccherebbe l'Alleanza Atlantica, con tutta probabilità. Cosa che è un preciso obiettivo di Putin e che forse — viste le sue dichiarazioni sull’alleanza e sul contributo dei Paesi membri — non dispiacerebbe a Trump.

I guai peggiori, in uno scenario simile, sarebbero per l’Europa. Che ha tutti i mezzi economici ma nessuna volontà politica univoca per affrancarsi dagli Stati Uniti, avere una politica estera e della difesa proprie e opporre con credibile coerenza i suoi valori e la sua forza a qualsiasi schieramento antidemocratico globale si stia formando o possa formarsi in futuro. Insieme agli Usa, possibilmente. O anche senza.

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