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Opinioni
Guerra in Ucraina

Perché in Ucraina andrà molto peggio, prima di andare meglio

La controffensiva di Kiev, i massacri di Putin, l’Occidente che invia armi, la Cina che aspetta: la guerra in Ucraina sta diventando un pantano da cui è molto difficile uscire, perlomeno a breve.
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Ci sono due modi per parlare di ciò che è successo a Bucha nei giorni appena trascorsi, entrambi corretti. Se ne può parlare come del teatro di una strage di civili, ammassati in fosse comuni dopo le esecuzioni sommarie dell’esercito russo. Ma se ne può anche parlare come di una delle tante città recentemente riconquistate dall’esercito di Kiev nella sua controffensiva che sta progressivamente erodendo il territorio conquistato da Mosca nelle prime settimane di guerra.

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Entrambe le letture sono corrette, e in fondo sono le due facce della stessa medaglia: la strage di Bucha è figlia della ritirata dell’esercito russo. E a ben vedere, ogni massacro di civili ucraini è figlio delle difficoltà che l’esercito russo sta incontrando in un’Ucraina che assomiglia sempre più al Vietnam e all’Afghanistan e all’Iraq e a tutti i pantani in cui sono rimasti intrappolati i grandi eserciti delle grandi potenze e i loro piani di trionfali guerre lampo.

Ecco: l’Ucraina è diventato quel pantano molto prima del previsto. Anche i più ottimisti tra i commentatori e gli analisti occidentali, di fronte alla soverchiante potenza russa e a un Paese spaccato in due tra filo-occidentali a ovest e filo-russi a est, avevano preconizzato una veloce vittoria russa e, semmai, una difficile gestione dei territori conquistati, con costi troppo elevati da sostenere, e una guerriglia difficile da domare.

Nessuno, o quasi, si aspettava che l’esercito ucraino riuscisse a resistere all’invasione, che dopo poco più di un mese di conflitto nessuna grande città o quasi sarebbe stata conquistata dai russi, che l’esercito di Mosca si trovasse a sopportare perdite nell’ordine delle decine di migliaia, già oggi più del doppio di tutti i soldati americani morti in Afghanistan e in Iraq messi assieme. Che i russi, addirittura si trovassero costretti a ripiegare in Bielorussia, a cambiare i piani d’attacco per concentrarsi solo sul sud e sull’est del Paese. Che l’Ucraina trovasse addirittura la forza di bombardare dei depositi di carburante oltre il confine russo.

Tutte ottime notizie, queste, per chi parteggia per la resistenza ucraina, ma anche solo per chi crede nella democrazia e nel diritto di un popolo di auto-determinarsi. Buone notizie che tuttavia, dobbiamo registrare con la consapevolezza del costo enorme che porteranno con loro, soprattutto per la popolazione civile ucraina quando quella che nei piani era una guerra lampo si trasforma in una guerra di posizione e di logoramento reciproco.

Partiamo dagli ucraini, che credono mai come ora di poter ricacciare i russi oltre il confine, e di liberare il Donbass e forse pure la Crimea, se l’Occidente continuerà a rifornirli di armi, e se aggraverà ulteriormente le sanzioni contro Mosca, cosa che la Casa Bianca si è detta propensa a fare nei prossimi giorni. È una prospettiva che cambia radicalmente i termini delle trattative con Mosca. Se fino a qualche giorno fa Kiev si era detta disposta a trattare sul Donbass purché vi fosse un cessate il fuoco, oggi sembra molto meno propensa a concedere qualcosa a Mosca, convinta che il tempo sia dalla sua parte.

Diametralmente opposta è la condizione dei russi. Che fino a pochi giorni fa parlavano di demilitarizzazione e denazificazione dell’Ucraina, e che oggi firmerebbero volentieri per veder riconosciuta la dipendenza da Mosca delle due province del Donbass. Il fatto che ciò non avverrà è il motivo per cui nel suo briefing quotidiano con la stampa, il consigliere per la sicurezza di Stato americano Jake Sullivan ha dichiarato che la nuova fase dell’offensiva russa “potrebbe durare ancora due mesi, o più”. Perché è molto probabile andrà tutto molto peggio, prima di andare meglio. Perché tutto concorre ad alzare il livello dello scontro.

Lo alzeranno gli ucraini, per vincere la guerra, o anche solo per infliggere più perdite possibili all’esercito russo, per convincere i generali di Mosca che non ne vale la pena, e per smuovere l’opinione pubblica russa mentre i suoi figli non tornano a casa, e i cui corpi esanimi nemmeno vengono più recuperati e anche solo seppelliti dai loro commilitoni.

Lo alzeranno i russi – e Bucha non è che l’antipasto di quel che ci attende, purtroppo – per costringere Kiev a dire basta ai massacri di civili, e per costringere Zelensky e i suoi a sedersi al tavolo delle trattative ora che l’esercito russo controlla ancora buona parte del territorio. O anche solo, banalmente, perché una volta varcata la linea in cui nessuno si siede più a trattare, si tratta solo di vincere o di perdere, a qualunque costo.

Lo alzeranno gli Usa e l’Occidente, che invieranno altre armi all’Ucraina, persuasi della possibilità che Kiev possa prevalere e che la sconfitta possa infliggere un colpo mortale alla leadership di Putin, che di fronte a una sconfitta non ci riproverebbe più, o che addirittura potrebbe arrivare a essere destituito da qualcuno dei suoi sodali, o da una sollevazione popolare, come ha esplicitamente auspicato il presidente Usa Joe Biden.

E lo alzerà, forse, pure la Cina, che preferisce una soluzione in cui nessuno dei due belligeranti prevalga davvero, e che potrebbe proprio per questo rompere gli indugi in favore di Mosca, anche solo per dividere il fronte tra Usa e Ue, o per poter rientrare in gioco come paciere, quando le risulterà conveniente risolvere lo stallo.

Basta che lo sappiamo: a farne le spese, ad attraversare quel peggio, sarà la popolazione civile ucraina. Quella stessa popolazione che già oggi si sta riversando in massa in Europa – 7 milioni di profughi e 10 milioni di sfollati, per un Paese che fa 44 milioni di abitanti – e che sta già pagando un prezzo altissimo dopo “sole” cinque settimane di guerra. E che potrebbe pagare un prezzo ancora più alto, se quella guerra – anche solo per pochi mesi – si trasformasse in un pantano senza via d’uscita.

Non abbiamo soluzioni in tasca, e l’unica cosa che sappiamo è che giorno dopo giorno, settimana dopo settimana ci stiamo addentrando sempre più dentro quella terra ignota in cui Vladimir Putin ci ha spinto lo scorso 24 febbraio. E che ogni giorno che passa è sempre più difficile far parlare le persone, e far tacere le armi.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro. 15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019)
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