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Ovazioni per Meloni e bandiere di Franco: l’adunata di Vox alla vigilia delle elezioni in Spagna

Alla vigilia delle elezioni politiche spagnole di domenica 23 luglio, siamo stati al comizio finale di Vox, il partito di estrema destra che potrebbe andare al governo insieme ai Popolari.
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Madrid. Al centro di Plaza de Colon è issata un'enorme bandiera spagnola. Forse è per questo che Vox ha deciso di chiudere qui la sua campagna elettorale. O forse è per il monumento a Cristoforo Colombo, simbolo della storia coloniale spagnola che il partito di Santiago Abascal rivendica come “opera di civilizzazione della Spagna in America”. O forse, come osserva Daniel Basteiro, direttore del giornale d’inchiesta spagnolo Infolibre, è “perché pensano che porti loro fortuna”.

E in effetti Vox, il partito dell’estrema destra spagnola, ha bisogno di molta fortuna, domenica 23 luglio, quando si voterà per rinnovare il parlamento spagnolo e scegliere il nuovo governo. Perché Vox, alla vigilia delle urne, è in bilico tra il trionfo e la catastrofe. Trionfo, perché se i suoi voti saranno decisivi per permettere al Partido Popular di avere la maggioranza assoluta in Parlamento, potrebbe per la prima volta entrare a far parte di una coalizione di governo. Catastrofe, perché comunque vada Vox perderà parecchi seggi rispetto alle ultime elezioni – oggi ne ha più di 50, le previsioni più rosee parlano di 30 – proprio a causa della crescita del Pp. E se quei seggi non fossero né sufficienti, né necessari a formare un nuovo governo, la leadership di Abascal e tutta la retorica sull’ascesa dell’estrema destra in Spagna potrebbero essere messi in discussione.

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Per questo, c’è più tensione che entusiasmo tra le migliaia di militanti e simpatizzanti di Vox che affollano Plaza Colon. Premessa: non immaginatevi la classica adunata di estrema destra con bomber e anfibi. A riempire la piazza è la borghesia medio alta di Madrid. Tanti giovani con la faccia pulita, tanti uomini di mezza età in camicia bianca, tante signore eleganti. Una di loro arriva avvolta in una bandiera spagnola col simbolo e lo slogan della Legion Espanola, uno dei simboli della conquista del potere da parte del Caudillo Francisco Franco nella guerra civile del 1936-39. Nella piazza di Vox, in un Paese che non l’ha mai abiurato, il franchismo si rivendica senza vergogna, tanto quanto il colonialismo. E di bandiere della Legione se ne vedono parecchie.

Sul palco, in attesa di Abascal, si alternano i luogotenenti di Vox. Giovani e belli, raccontano i successi del partito in Andalusia, l’esperienza di governo coi popolari in Castilla y Leon, unico territorio in cui destra ed estrema destra governano assieme, e salmodiano, quasi fosse una litania sempre uguale, i disastri del governo Sanchez, il pericolo dell’islamizzazione della Spagna, le bugie delle "false femministe”, le mistificazioni dei media e la violenza degli indipendentisti catalani e baschi nei loro confronti durante la campagna elettorale. Patrioti, è l’appellativo con cui ognuno di loro si rivolge alla folla. Viva Espana, è il grido di battaglia che chiude ogni loro intervento.

Il pubblico si scalda quando il segretario generale del partito Ignacio Garriga lancia i video di sostegno dei leader di “importanti Paesi europei” a favore di Vox e di Abascal. Sullo schermo, accompagnati da una musica marziale a tutto volume che copre le loro parole, scorrono i videomessaggi del premier ungherese Viktor Orban, di quello polacco Mateusz Morawiecki e della presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni. Quando la leader di Fratelli d’Italia fa capolino sullo schermo – unica a rivolgere ai compatriotes il suo messaggio in spagnolo, dalla piazza si leva un lungo applauso. Un gruppetto di sessantenni in camicia bianca accenna un coro "Giorgia, Giorgia", mentre dagli altoparlanti la sua voce scandisce che “l’Italia è la prova che i patrioti possono andare al governo”. L’esperimento finale che dovrebbe far cadere ogni cordone sanitario, ogni ultima residua resistenza all’avvento delle estreme destre al potere, post fasciste o neo franchiste che siano.

Il messaggio di Giorgia Meloni alza la temperatura quel tanto che basta per permettere a Santiago Abascal, presidente di Vox, di salire sul palco tra le ovazioni della folla. Il discorso di Abascal è un crescendo, sia nei toni sia nella violenza del messaggio. Dice che ovunque andranno al potere cancelleranno i programmi culturali della sinistra, “perché la gente ci ha votato per quello”. Attacca Sanchez “che ha trasformato la Spagna in un Paese socialista come il Venezuela”, ma anche il Partido Popular che “tende la mano a tutti tranne che a noi”, e che “è stato troppo morbido nell’opporsi alle politiche della sinistra”. Afferma che la legge contro la violenza sulle donne proposta dal governo in carica “ha aumentato  solo le denunce  false e eliminato la presunzione di innocenza per metà della popolazione spagnola” (quella maschile, ndr), raccogliendo l’applauso delle tante donne presenti in piazza. E chiude il suo comizio con una serie di dicotomie che definiscono il profilo politico di Vox: “Sì alla civilizzazione della croce, no alla brutalità dell’Islam, sì alle leggi della natura, no al fondamentalismo ambientalista, sì al potere del padre, no all’ideologia gender, si alla Spagna unita, no agli indipendentisti e ai separatisti”, facendo salire i decibel e l’applausometro della folla a livelli di apoteosi.

La catarsi di Vox si chiude con l’inno spagnolo, come da tradizione. Mentre la folla sciama verso le vie della movida di Malasaña, alla ricerca di un ristorante dove mangiare, dagli altoparlanti di Piazza Colon, anzichè Wagner e il crepuscolo degli dei, partono le note di “Sarà perché ti amo” dei Ricchi e Poveri. Una signora accenna a un passo di danza, con la bandiera franchista della Legione Spagnola sulle spalle. Sono le dieci e mezza di sera e il termometro segna ancora più di trenta gradi. La rivoluzione non è un pranzo di gala. La restaurazione, forse, sì.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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