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“Minacciato di morte, non ha smesso di raccontare”: il ricordo di un collega di Saleh, reporter ucciso a Gaza

A Fanpage.it la testimonianza di un collega di Saleh al-Jafarawi, il giornalista ucciso domenica scorsa a Gaza City: “L’ho conosciuto durante la Marcia del Ritorno, da allora sapevo che non si sarebbe più tirato indietro”.
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“Saleh usava i social per mostrare al mondo la sofferenza della gente durante la guerra su Gaza. Era bravo, molto bravo”, così Mohamed Washah, corrispondente per al Jazeera Mubasher a Gaza, ricorda a Fanpage.it il collega Saleh al-Jafarawi pochi giorni dopo la sua uccisione.

Saleh al-Jafarawi, freelance palestinese di ventisette anni, è stato infatti ucciso domenica scorsa a Gaza City per mano di bande armate anti-Hamas. Per molto tempo aveva raccontato la vita nella Striscia sotto assedio, camminando da una strada all’altra, salendo sulle ambulanze per documentare le vittime, i corpi di donne e bambini, i soccorsi sotto le macerie. In ultimo, un video lo ritrae mentre nel buio di Gaza senza elettricità, va ad informare gli abitanti casa per casa che è stato raggiunto il cessate il fuoco.

Il suo lavoro gli era costato minacce ripetute da parte dell'esercito israeliano: “L’occupazione aveva contattato suo padre, promettendo di uccidere tutta la famiglia se Saleh non avesse smesso di pubblicare”, racconta ancora Washah a Fanpage.it. “Ma lui si era rifiutato. Non ha mai smesso di filmare e di scrivere”, continua.

Negli ultimi mesi la pressione di Israele contro Saleh era aumentata. Sulla pagina Facebook del portavoce dell’esercito israeliano, Avichay Adraee, erano comparsi post di incitamento esplicito contro di lui e il nome del giornalista era comparso nella lista degli obiettivi dell’IDF. Nonostante tutto, Saleh non era scomparso, non si era nascosto. Continuava a lavorare per varie testate, fedele all’idea che il suo mestiere fosse restare testimone di quello che stava succedendo.

“L’avevo conosciuto anni fa, durante la copertura della Grande Marcia del Ritorno, al confine con Israele”, ricorda infine il collega, “eravamo sullo stesso campo, tra i gas lacrimogeni e i feriti. Da allora sapevo che Saleh non si sarebbe mai più tirato indietro”.

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