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L’incredibile storia dell’uomo che si fece chiudere 61 giorni in una bara per provare a diventare ricco

Nel 1968 l’operaio irlandese Mick Meaney si fece seppellire vivo per 61 giorni a Londra, inseguendo un record mondiale che gli portò fama momentanea ma nessuna fortuna.
A cura di Davide Falcioni
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Era il febbraio del 1968 quando nel cuore di Kilburn – all'epoca roccaforte dell’emigrazione irlandese a Londra – una folla silenziosa seguì una bara insolita: 1 metro e 90 di lunghezza, 76 centimetri di larghezza, imbottita di gommapiuma. Al suo interno c’era Mick Meaney, un operaio di Tipperary. L'uomo però non era morto: al contrario, era vivo e in piena salute, determinato a conquistare un primato che avrebbe fatto il giro del mondo. Restare sepolto vivo per oltre due mesi.

Meaney, un uomo robusto e abituato a svolgere lavori duri, aveva sognato un passato da pugile, ma un infortunio lo aveva spinto a cercare fortuna nei cantieri londinesi. Fu proprio un incidente sotterraneo – durante il quale rimase intrappolato sotto le macerie di un edificio – a suggerirgli un’idea bizzarra: battere il record statunitense di permanenza in una bara, appartenente al texano Bill White, noto come "the living corpse".

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Per trasformare l’azzardo in spettacolo, Meaney si affidò a Michael "Butty" Sugrue, ex circense diventato impresario nella comunità irlandese. Sugrue organizzò una sorta di veglia funebre in un pub di Kilburn, poi fece trasportare la bara con dentro l'uomo irlandese in un cantiere dove venne sepolta con tutto il necessario: un tubo per l’aria, una fessura per calare cibo e bevande, una botola che fungeva da rudimentale servizio igienico. Tutta la stampa accorse, incuriosita da quell’uomo deciso a trascorrere 61 giorni al buio totale, comunicando con il mondo solo tramite un telefono installato nel coperchio. Di quella curiosa "avventura" umana è stata prodotta una ricca documentazione fotografica.

Nei primi giorni la vicenda fece scalpore: celebrità come il pugile Henry Cooper telefonarono a Meaney, mentre il pub collegato alla linea divenne un'attrazione. Poi l’attenzione calò, travolta da notizie decisamente più importanti – dalla guerra del Vietnam all’assassinio di Martin Luther King.

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Il 22 aprile, allo scadere dei 61 giorni, la bara contenente Mick Meaney venne riportata in superficie tra applausi e decine di telecamere. Con occhiali scuri e barba incolta, l'uomo sorrise, sostenendo che avrebbe potuto restare sepolto altri cento giorni. Credeva che quel momento fosse l’inizio di una nuova vita, fatta di sponsor e tournée internazionali.

Ma la fortuna non arrivò. I progetti sfumarono, di soldi se ne videro ben pochi e nessun rappresentante del Guinness dei Primati certificò l’impresa. A peggiorare le cose, un altro artista della sepoltura, Tim Hayes, mise in dubbio il record, mentre poco dopo una ex suora, Emma Smith, superò di gran lunga entrambi rimanendo sottoterra per 101 giorni.

Meaney tornò in Irlanda senza una sterlina in tasca, trovò un lavoro stabile presso il consiglio della contea di Cork e visse lontano dai riflettori fino alla sua morte nel 2003.

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