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Guerra in Ucraina

L’incontro di Ramstein tra Paesi NATO e “volenterosi”, l’anno zero delle relazioni internazionali

I rappresentanti dei Paesi aderenti alla Nato e di altri quattordici Stati si sono riuniti a Ramstein, in Germania, per coordinare la loro risposta all’invasione russa dell’Ucraina. Una riunione che potrebbe influenzare il seguito del conflitto ucraino. L’analisi del senatore Gregorio De Falco.
A cura di Redazione
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di Gregorio De Falco, senatore gruppo Misto

Ieri a Ramstein, in Germania, si sono incontrat i i Paesi aderenti alla NATO ed altri definiti "volonterosi", al fine di rafforzare la politica di aiuti, anche militari all'Ucraina. Alcuni commentatori hanno creduto che si sia trattato del primo passo verso una escalation militare, creando così un allarme immotivato.  Piuttosto, l'incontro sembra puntare a mettere una sorta di "fermo alla porta", ossia ad organizzare una difesa comune, per frenare le mire espansionistiche di Mosca, che da tempo non accetta il responso della "Guerra Fredda".

A Ramstein, una delle più importanti basi americane in Europa, a quel che risulta da varie fonti, non si sono incontrati solo gli alleati Nato, tra i quali anche l'Italia, ma sarebbero  stati coinvolti almeno altri quattordici Paesi esterni all’Alleanza Atlantica. L’Ucraina, in primis, ma anche Svezia e Finlandia, in predicato di unirsi alla Nato. A questi si aggiunge il quartetto del Pacifico: Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda e Australia. Tre le nazioni mediorientali: Israele, la Giordania, bastione Usa ai confini della Siria filorussa, e il Qatarsempre più vicino agli USA. Infine, quattro nazioni africane: Kenya e Liberia, fidatissimi alleati Usa, ma anche Marocco e Tunisiacome a mettere pressione all’Algeria, terza acquirente di armi russe al mondo.

Con l'incontro di Ramstein gli Stati Uniti sembra vogliano strutturare il sistema di invio delle armi all’Ucraina, consentendo a Kiev di fermare l'invasione. In tal modo l'Ucraina vincerebbe la guerra indebolendo i russi, impedendogli di compiere ulteriori azioni militari di aggressione. Il timore, infatti, è che l'attacco all'Ucraina – qualora coronato da successo –  sarebbe solo il primo di una serie, volta a ripristinare con la forza "l'impero russo". Dall'incontro dovrebbe scaturire da un lato una strategia che accomuni i Paesi Nato e gli altri partecipanti, anche al fine di escludere che siano cedute a Kiev alcune armi come i caccia, e dall'altro lato di giungere ad un ridimensionamento della minaccia russa.

Un altro obiettivo della coalizione dovrebbe consistere nell'evitare che Mosca riesca ad ottenere il controllo della zona meridionale dell'Ucraina, partendo dal Donabass e giungendo alla vitale città di Odessa, che ha un passato tragico e glorioso, il cui controllo comporta enormi conseguenze economiche e commerciali, poiché dal suo porto transita passa la gran parte del commercio ucraino. Se dovesse cadere in mano russa, l'Ucraina subirebbe un lento e inesorabile soffocamento, e quindi alla sua resa.

Dietro tutto questo resta un convitato di pietra, silenzioso e temibile. La Cina osserva e non si muove. Il suo immobilismo è in questo momento forza. Gli americani sono obbligati, infatti, a distogliere energie dal critico quadrante asiatico, mentre i cinesi esercitano sempre maggiore pressione su Taiwan, e sull'Africa, che è ormai quasi integralmente colonia cinese.

Infine, la Cina, rovesciando un'antica sudditanza, sta rendendo suo satellite la Russia, che nel corso del tempo è destinata a perdere quella forza economica che il commercio del gas, unica fonte di ricchezza russa, gli ha dato per anni. La Cina potrebbe, volendo, acquistare al prezzo dai lei deciso il gas russo, esercitando di fatto un controllo ferreo sull'economia, e quindi sulla politica, di Putin. La Cina però necessita ancora tempo per divenire la potenza egemone della seconda metà del XXI secolo, non ha interesse ad una escalation militare e a tal fine può esercitare la propria influenza sia sull'Occidente che sui russi.

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