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La procedura europea contro la Polonia sullo stato di diritto è stata chiusa

L’attivazione dell’articolo 7 riguardava la tutela dello stato di diritto: la procedura era stata avviata contro la Polonia nel 2017, ma per sei anni non era mai stata applicata grazie al veto di alcuni Paesi, tra cui l’Ungheria. Ora la Commissione europea ha deciso di chiuderla.
A cura di Pietro Forti
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La Commissione europea ha deciso di chiudere il procedimento volto ad attivare l'articolo 7 del Trattato dell'Unione europea contro la Polonia sulla tutela dello stato di diritto. La decisione era attesa dallo scorso febbraio, quando il primo ministro polacco Donald Tusk, in carica dal dicembre del 2023, aveva proposto una "via d'uscita" dalla procedura, legata all'ingerenza dell'esecutivo polacco nel sistema giudiziario nazionale. L'articolo 7, noto tra gli addetti ai lavori come "opzione nucleare", è un meccanismo che se messo in atto avrebbe tolto il diritto di voto alla Polonia in seno al Consiglio Ue.

"Oggi segna un nuovo capitolo per la Polonia. Dopo più di sei anni, riteniamo che la procedura dell'articolo 7 possa essere chiusa – ha fatto sapere con un tweet la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen – Mi congratulo con il primo ministro Donald Tusk e il suo governo per questo importante passo avanti. Questo è il risultato del duro lavoro della Polonia e dei determinati sforzi di riforma".

I difficili rapporti tra la Polonia e l'Unione europea, finora

L'attivazione dell'articolo 7 contro la Polonia era scattata nel 2017, quando a presiedere la commissione c'era Jean-Claude Juncker. Il partito di estrema destra Diritto e Giustizia (PiS) era arrivato al potere dal 2015, proprio dopo la fine del primo mandato da capo del governo di Tusk, e aveva iniziato a interferire pesantemente con la giustizia, arrivando ad approvare una riforma che poneva diversi organi giudiziari sotto il controllo del governo. Queste riforme erano state considerate violazioni dello stato di diritto e la Commissione aveva deciso di avviare la procedura.

Da allora, tuttavia, la Polonia non ha mai subito gli effetti dell'applicazione dell'articolo 7: per attivarlo, infatti, è necessario un voto unanime nel Consiglio europeo da parte di tutti e 27 gli Stati membri. La procedura, che avrebbe portato di fatto all'estromissione della Polonia dagli organi decisionali, è stata sempre bloccata dal veto di alcuni Paesi, tra cui l'Ungheria di Viktor Orbàn (anch'essa colpita dall'attivazione dell'articolo 7). Scollegata da questa procedura, ma sempre relativa allo stato di diritto e all'ingerenza del governo nella giustizia, era la decisione della Commissione di congelare i fondi di coesione e del Recovery fund destinati alla Polonia: ad aprile questi finanziamenti sono stati parzialmente sbloccati e il governo polacco ne ha ricevuti una parte, circa 6,3 miliardi.

Con l'elezione di Tusk, uno dei principali obiettivi del governo polacco è diventata la distensione dei rapporti con l'Unione europea e il miglioramento delle condizioni dello stato di diritto nel Paese. La tabella di marcia per le riforme proposta a febbraio, dunque, ha portato la Commissione a valutare che non vi fosse più "un chiaro rischio di grave violazione dello Stato di diritto in Polonia".

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