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In Sudan milioni di civili alla fame nel silenzio del mondo: “Se accendi una sigaretta vieni ucciso”

A Fanpage.it chi non ha mai lasciato il campo racconta le violenze subite dalla popolazione civile. Emergency e Music For Peace: “La più grande crisi umanitaria in corso, 12 milioni di sfollati. Ad Al-Fashir chi fugge viene ucciso”
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Credits: Mathieu Willcocks, Ufficio Stampa Emergency
Credits: Mathieu Willcocks, Ufficio Stampa Emergency

Una guerra dimenticata in Sudan che è diventata "la più grande crisi umanitaria in corso". Trenta milioni di persone hanno bisogno di aiuti umanitari, metà delle quali sono bambini. Gli sfollati interni sono oltre 12 milioni, a cui si aggiungono 4 milioni di rifugiati fuggiti all'estero. Numeri che nessuna altra crisi al mondo può eguagliare, eppure coperti da un silenzio quasi totale, rotto solo ora dalle atrocità della caduta di Al-Fashir.

A raccontare l'apocalisse sudanese sono le organizzazioni che non hanno mai lasciato il campo, nemmeno quando la capitale Khartoum è diventata un fronte di battaglia. Da Port Sudan, diventata la "capitale non ufficiale", e da Khartoum stessa, Music For Peace ed Emergency lanciano un allarme disperato.

Operatrice in Sudan: "A El Fasher è un genocidio"

La situazione è precipitata con la presa di Al-Fashir, capitale del Nord Darfur, da parte delle Forze di Supporto Rapido (RSF). "Quello che sta accadendo è il peggior genocidio in corso al momento", denuncia Tibyan Mohammed Nour, operatrice sudanese di Music For Peace da Port Sudan, "tutti sapevano che prima o poi sarebbe successo", continua.

Avere contatti con la popolazione intrappolata nella città di Al-Fashir è impossibile: “Non si può nemmeno accendere il telefono, né una sigaretta: se accendi una sigaretta, si vede la luce, arrivano i droni, e vieni attaccato e ucciso", racconta ancora Mohammed Nour a Fanpage.it. Le uniche notizie arrivano da chi è riuscito a fuggire nei campi limitrofi, come quello di Tawila. Si stima che oltre un milione di persone sia in fuga solo da quest'area.

La caduta della città, ultima roccaforte governativa nel Darfur, significa una sola cosa: "Ci saranno ancora più sfollati, che si aggiungono a quelli già presenti, aggravando ulteriormente la crisi. Vengono affamati, uccisi, massacrati", continua la donna.

La fame, denunciano da Music For Peace, "è presente. Esiste". Soprattutto ad Al-Fashir, dove gli aiuti sono completamente bloccati. "Prima – continua l’operatrice umanitaria – altre ONG riuscivano a far arrivare aiuti umanitari all’interno della città con lanci aerei, come a Gaza. Ora tutte le vie sono bloccate. Non si possono più fare lanci aerei, né consegnare via terra".

Anche gli operatori umanitari sono un bersaglio, come denuncia l’Ong genovese: "Cinque volontari della Mezzaluna Rossa sudanese sono stati assassinati. Nel Darfur il rischio è altissimo: puoi morire se vai lì. Le RSF non riconoscono né gli aiuti né gli operatori umanitari".

Operatrici di Music For Peace
Operatrici di Music For Peace

La testimonianza da Khartoum: "Il sistema sanitario è al collasso"

Dalla capitale Khartoum, Matteo D'Alonzo, Country Director di Emergency, conferma la catastrofe. "Nelle zone colpite dalla guerra si parla dell'inattività dell'80% delle strutture sanitarie, inagibili o ferme".

Emergency non ha mai abbandonato il suo Salam Centre, il centro di cardiochirurgia a Khartoum. Ma ha dovuto stravolgere la propria attività per rispondere ai bisogni di una città in guerra. "Abbiamo aggiunto la medicina generale e un reparto pediatrico. Siamo passati da 4-5 operazioni programmate al giorno a farne una, e ora riusciamo a fare solo le emergenze che ci arrivano al cancello", continua l’operatore di Emergency.

La sfida più grande è la logistica e la sopravvivenza delle strutture, come spiega D’Alonzo, "il problema più grosso è la mancanza di energia elettrica. Senza, non hai accesso all'acqua potabile. Siamo dovuti andare avanti con i generatori per più di otto mesi di seguito, con costi immensi". Spostare gli aiuti è quasi impossibile: "Mandare un singolo container da Port Sudan a Nyala costa circa 60.000 euro", continua.

Matteo D’Alonzo, Emergency
Matteo D’Alonzo, Emergency

Con la caduta di Al-Fashir c’è già chi parla della possibilità che il Sudan venga diviso in due, ma la guerra al momento non pare rallentare e minaccia di tornare nella capitale. "La presa di Barra, una cittadina con collegamento diretto a Khartoum, ha riaperto la paura anche qui”, spiega a Fanpage.it D’Alonzo, “poche settimane fa le RSF sono riuscite a mandare droni sull'aeroporto di Khartoum, che avrebbe dovuto essere riaperto di lì a pochi giorni, danneggiandolo per impedirne l'utilizzo. Ciò che avviene sul campo di questa guerra è quasi imprevedibile".

Le Ong sul campo: "Insegniamo alle madri a produrre cibo per i neonati"

In questo scenario, le ONG rimaste sul campo cercano di salvare il salvabile. Emergency, oltre a tenere aperto il Salam Centre, ha attivato sei cliniche in tutto il paese per garantire la terapia anticoagulante salvavita ai suoi pazienti cardiologici, che altrimenti morirebbero. "Restiamo per i nostri pazienti e per i nostri quasi 900 colleghi dello staff nazionale", spiega D'Alonzo.

Music For Peace, che ha visto il suo primo ufficio a Khartoum distrutto nel 2018, sta ricostruendo la sua presenza a Port Sudan. Oltre alla distribuzione di aiuti alimentari e non, raccolti in Italia e destinati a sfollati e comunità ospitanti, l'organizzazione ha lanciato un progetto cruciale sulla nutrizione.

"Parliamo con le madri di bambini piccoli per diffondere un metodo di autoproduzione del cibo per l’infanzia", spiega Matteo Di Domenico amministrativo sul campo di Music For Peace. "Le aiutiamo a preparare pasti altamente nutritivi con ingredienti locali e a basso costo, in modo che non dipendano dagli alimenti industriali. È un'attività di prevenzione della malnutrizione", continua.

"Serve la stessa visibilità di Gaza. È una guerra fratricida"

L'appello finale è unanime: rompere il silenzio. "Sono stati due anni di massacri, violenze sessuali, attacchi mirati", ricorda Mohammed Nour di Music For Peace, "solo ora il Sudan sta ricevendo un po' di attenzione mediatica, ma la situazione è terribile in tutto il paese. Serve la stessa visibilità che ha avuto Gaza. Perché qui è un genocidio. Le RSF Non lasciano scappare nessuno: chiunque provi a fuggire viene ucciso lungo la strada".

Una guerra, sottolinea Matteo D'Alonzo, spesso incomprensibile: "È una guerra a volte veramente fratricida. Queste sono due parti dello stesso esercito. Hanno fatto insieme la rivoluzione contro al-Bashir e hanno governato insieme per anni. Ci sono comandanti SAF (forze armate sudanesi) sposati con la sorella di comandanti RSF (rapid support forces)".

"Il popolo sudanese è stanco, è una guerra che non vuole, non ce la fa più”, conclude D'Alonzo.

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