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“Il cessate il fuoco tra Hamas e Israele per evitare escalation in Medio Oriente”: l’analisi dell’esperto

L’intervista di Fanpage.it a Luigi Narbone, Direttore della Mediterranean Platform alla Luiss School of Government, sulla situazione in Medio Oriente: “Dalla guerra Hamas-Israele alle tensione nel Mar Rosso con gli Houthi, c’è stato un deterioramento complessivo del quadro strategico in tutta la Regione. Attenzione a non superare la linea di non ritorno”.
Intervista a Luigi Narbone
Direttore della Mediterranean Platform alla Luiss School of Government.
A cura di Ida Artiaco
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"Nelle ultime due settimane c'è stato un deterioramento complessivo del quadro strategico in tutta la Regione. Il rischio è che si vada verso una ulteriore escalation. Il cessate il fuoco tra Hamas e Israele potrebbe portare ad una riduzione della tensione".

Così Luigi Narbone, Direttore della Mediterranean Platform alla Luiss School of Government presso l'Università Luiss di Roma, ha fatto con Fanpage.it il punto della situazione in Medio Oriente, dove la guerra che va avanti ormai da più di 100 giorni tra Hamas e Israele è diventata solo un pezzo di un puzzle più ampio, che coinvolge lo Yemen con gli Houthi, il Libano, l'Iran e l'Iraq, con il rischio che la situazione possa precipitare da un momento all'altro allargando il conflitto in corso.

Dott. Narbone, come possiamo riassumere quello che sta succedendo non solo tra Hamas e Israele ma in tutta la regione mediorientale?

"Come abbiamo visto, nelle ultime due settimane c'è stato un deterioramento complessivo del quadro strategico in tutta la Regione a partire dall'aumento dei confronti al confine con il Libano passando per la questione del Mar Rosso, dove gli Houthi hanno mostrato una volontà piuttosto ferma di proseguire con una escalation e colpire la navigazione che passa per lo stretto di Bab el-Mandeb, rispondendo anche agli attacchi di Usa e Gran Bretagna.

Mi sembra che non ci sia al momento nessuna riduzione di questa volontà, quanto anzi forse di quella di espandere anche al traffico dei mercantili non legati a Israele. Ovviamente, c'è un quadro che tocca anche l'Iraq e l'Iran. Teheran è coinvolto anche se fino a questo momento ha manifestato la sua volontà di non essere implicato in un confronto militare con gli Usa e Israele. Ma la situazione è in deterioramento complessivo su più fronti".

Quale tra questi fronti secondo lei è quello più caldo?

"Difficile isolare un fronte in particolare. Stiamo parlando di elementi che sono collegati. L'asse "della resistenza", che va dal Libano all'Iraq passando per lo Yemen, in qualche modo risponde in maniera autonoma ma complessivamente coordinata a quello che succede nel resto della regione.

Il proseguire delle operazioni militari di Israele a Gaza, le numerose vittime civili tra la popolazione della Striscia e il non avere al momento nessuna visione su un possibile cessate il fuco non fa che alimentare la tensione. Certo, anche le operazioni di Usa e Gran Bretagna in Yemen non fanno che aggravare la situazione, con il rischio reale della ripresa della guerra civile in Yemen che aveva vissuto da un paio di anni il cessate il fuoco. In questo caso il processo di pace è stato fortemente voluto da Arabia Saudita ed Emirati Arabi, che vedevano proprio la pacificazione dello Yemen come un momento importante per la stabilizzazione dell'intera regione. Tutto questo ora è in forse.

Senza considerare il grosso impatto sulla navigazione da e per il canale di Suez che ha ripercussioni importanti per l'economia europea e mondiale con un rischio di ulteriore impatto sull'inflazione che sembrava essere sotto controllo".

Cosa potrebbe fare la comunità internazionale in questa situazione?

"Io credo che sia necessario aprire canali di dialogo per procedere a un processo di de-escalation. È evidente che dopo 100 giorni di operazione militare a Gaza, che ha seguito l'atroce attentato di Hamas, tutta questa situazione non fa che spingere tutta la regione verso un graduale incremento delle possibilità di espansione del conflitto. È importante che sia aprano dei canali, per cercare di spingere verso una riduzione dell'impatto delle operazioni militari di Israele a Gaza. Un cessate il fuco potrebbe portare ad una riduzione di questa tensione. Il rischio è che ci sia gradualmente un processo che invece spinga attori che si coordinano ma che non sono collegati tra di loro, con conseguente apertura di nuovi fronti ed ulteriore espansione del conflitto".

Quale attore potrebbe giocare un ruolo centrale per riportare sotto controllo quest'area?

"Sono diversi gli attori nella regione che hanno un interesse a ristabilire stabilità e tornare a un processo di riduzione della tensione, inclusi i paesi del Golfo, come Arabia e Qatar. Quest'ultimo in particolare è stato importante in diverse mediazioni, come anche per gli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas durante la pausa umanitaria di circa un mese e mezzo fa.

Tutti questi tentativi di mediazione continuano. È importante anche sottolineare che i Paesi del Golfo hanno normalizzato i rapporti con l'Iran e ciò ha consentito di mantenere il livello di tensione tra queste due potenze sotto controllo. Gli attori non statali e dell'asse della Resistenza sono ovviamente in un'altra dinamica, ma anch'essi, come per esempio nel caso degli Hezbollah, hanno evitato di sorpassare certe linee rosse. Ma ricordiamo che le dinamiche di escalation sono difficili da controllare, si rischia sempre che qualcuno faccia un passo sbagliato e ci si ritrovi al di là della linea di non ritorno".

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