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Francia, anestesista accusato di 12 omicidi: “Avvelenava i pazienti per dimostrare le sue doti da medico”

Frédéric Péchier, ex anestesista francese, è accusato di aver avvelenato 12 pazienti spesso contaminando le flebo per provocare emergenze in sala operatoria e dimostrare di essere un bravo rianimatore.
A cura di Davide Falcioni
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Per anni è stato uno stimato anestesista. Oggi Frédéric Péchier rischia l’ergastolo ed è al centro di uno dei processi più sconvolgenti della sanità francese. Accusato di aver avvelenato mortalmente 12 pazienti tra il 2008 e il 2017, Péchier si è presentato davanti alla Corte d’assise del Doubs ribadendo fino all’ultimo la propria innocenza: “Lo dirò ora e lo dirò sempre: no, non sono un avvelenatore”.

Secondo l’accusa, il medico avrebbe contaminato deliberatamente sacche per flebo in due cliniche di Besançon, introducendo sostanze come potassio, anestetici locali, adrenalina o eparina. Farmaci che, una volta somministrati, avrebbero provocato arresti cardiaci o gravi emorragie. Per la procura, il movente sarebbe stato inquietante: mettere in scena emergenze estreme per “mostrare” le proprie capacità di rianimazione.

La vicenda giudiziaria prende forma nel 2017, quando una donna di 36 anni, senza particolari problemi di salute, subisce un intervento alla colonna vertebrale. Durante l’operazione il cuore si ferma. Dopo un primo tentativo di rianimazione fallito, Péchier interviene con un’iniezione: la paziente sopravvive, ma entra in coma. Le analisi rivelano concentrazioni di potassio fino a cento volte superiori alla norma nelle terapie endovenose. È il segnale che fa scattare l’indagine.

Nei giorni successivi emergono altri episodi sospetti, comprese sacche di paracetamolo che lo stesso anestesista afferma di aver trovato manomesse. Gli inquirenti iniziano così a guardare indietro nel tempo. I casi si moltiplicano, coinvolgendo pazienti dai 4 agli 89 anni. Nel 2009, tre persone senza precedenti cardiaci devono essere rianimate durante interventi minori alla Policlínica della Franca Contea.

Il primo decesso che gli investigatori collegano alla presunta catena di avvelenamenti risale all’ottobre 2008. Damien Iehlen, 53 anni, muore per arresto cardiaco durante un’operazione di routine ai reni. Gli esami post mortem individuano una dose potenzialmente letale di lidocaina. Per l’accusa, Péchier è il “denominatore comune” di tutti questi casi.

In aula, per oltre tre mesi, si sono susseguite perizie mediche, ricostruzioni della polizia e testimonianze dei familiari delle presunte vittime. La procura ha chiesto l’ergastolo, con un minimo di 22 anni di carcere, descrivendo l’imputato come un “serial killer” che avrebbe “trasformato una clinica in un cimitero” e “usato la medicina per uccidere”.

Péchier, però, respinge ogni addebito e rivendica di aver sempre rispettato il giuramento professionale. “Da otto anni combatto contro l’immagine di avvelenatore che mi viene attribuita”, ha detto prima della chiusura del processo.

La difesa tenta di smontare il quadro accusatorio puntando sull’assenza di una prova definitiva. Il suo avvocato, Randall Schwerdorffer, invita la giuria a separare il giudizio penale da quello umano: “La questione non è: ci piace Frédéric Péchier o non ci piace, piange o non piange”. E insiste: “Non siamo qui per pregiudicare qualcuno, ma per giudicarlo”.

Il verdetto è atteso per venerdì.

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