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Terremoto in Turchia e Siria

Emergenza bambini dopo il terremoto in Siria e Turchia, UNICEF: “Proteggiamoli, ma no alle adozioni”

L’intervista di Fanpage.it ad Andrea Iacomini, portavoce di UNICEF Italia, sull’emergenza bambini dopo il terremoto che ha colpito Siria e Turchia: “Prima di pensare alla ricostruzione si deve proteggere l’infanzia. I bambini siriani in particolare, che hanno già subito il trauma della guerra, oggi rivivono lo stesso dramma, fatto di morte e distruzione”.
A cura di Ida Artiaco
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"Prima di pensare alla ricostruzione, dobbiamo proteggere l'infanzia. Quindi lavorare per identificare i minori e ricongiungerli con la propria famiglia. Il quadro che ci troviamo di fronte è davvero desolante".

A parlare a Fanpage.it è Andrea Iacomini, portavoce di UNICEF Italia, che ha fatto il punto della situazione dei bambini che sono rimasti coinvolti nel terremoto di magnitudo 7.8 che lo scorso 6 febbraio ha colpito il territorio al confine tra Siria e Turchia, che ha provocato morte e distruzione.

Andrea Iacomini (Facebook).
Andrea Iacomini (Facebook).

Quanti sono i bambini colpiti dal sisma di Turchia e Siria?

"Sappiamo che ci sono sette milioni di minori coinvolti, di cui 4,6 milioni nelle aree colpite in Turchia e 2,5 in Siria. Non abbiamo poi numeri precisi di minori vittime del sisma o feriti, ma possiamo dire che sono milioni i bambini che hanno bisogno di assistenza immediata post terremoto. La portata di questo evento è stata apocalittica. Senza contare la quantità di coloro che risultano dispersi o lasciati soli senza il papà o la mamma. Noi i primi giorni dicevamo che erano circa 500, ma in realtà questa è una cifra che è stata di molto superata, si parla di decine di migliaia".

Abbiamo sentito parlare anche di bimbi rapiti…

"Non abbiamo evidenze di rapimenti. Ma è un rischio che si corre quando ci sono grandi emergenze. Lo abbiamo visto anche all'inizio della guerra in Ucraina. È chiaro che con degli smottamenti di questo tipo, bambini per strada e senza genitori, c'è il rischio che molti possano sparire e non possano essere censiti e ricongiunti alla famiglia tramite organizzazioni come la nostra. C'è di conseguenza il pericolo che finiscano nelle mani sbagliate, della tratta e della violenza. La cosa ci desta tanta preoccupazione perché la portata del fenomeno è enorme".

Di cosa hanno bisogno al momento? Come è possibile aiutarli?

"Cominciamo col dire che non si può procedere alle adozioni internazionali, non fosse altro perché ci sono procedure da seguire lunghe e farraginose che non possiamo garantire in questo momento. Ora si devono recuperare dalle macerie, portare in luoghi sicuri, come centri commerciali, ospedali, scuole, e ciò che non è stato distrutto, e soprattutto vanno protetti – è questa la parola chiave -, quindi vuol dire che devono essere censiti e ricongiunti, laddove è possibile, ai parenti, oltre che tenuti in strutture che insieme al ministero della salute turco stiamo mettendo insieme. Molti minori sono senza nome, ma anche in questo caso scatta un servizio di protezione nelle strutture più adeguate in attesa di notizie".

La situazione è particolarmente difficile in Siria. Cosa può dirci a riguardo?

"Il caso della Siria è emblematico. Qui ogni bambino sotto i 12 anni non ha visto altro che conflitti, guerre e sfollamento. Hanno vissuto anni di violenza e distruzione, le condizioni economiche sono pessime ed ora è arrivato anche questo. Ci sono 10 milioni di persone colpite, di cui 2,5 sono bambini. Il dato che però più mi ha colpito è che nel Nord Ovest del Paese il 91% dei 4 milioni di siriani già in emergenza umanitaria sono sfollati. Abbiamo dovuto fornire medicine, coperte, cercare di risolvere con i nostri soccorritori le perdite e ricostruire le strade. I bambini siriani, che hanno già subito il trauma della guerra, oggi rivivono lo stesso dramma, fatto di morte e distruzione. Alcuni di loro inoltre soffrono di ipotermia e infezioni respiratorie: il quadro è desolante".

Una volta finire le operazioni di soccorso, cosa deve essere fatto come primo step?

"Prima di pensare alla ricostruzione si deve proteggere l'infanzia, quindi identificare e ricongiungere i minori con le proprie famiglie e dare loro sostegno psicologico. È un trauma irreparabile, ecco perché abbiamo anche formato insegnanti in questo senso, per permettere a questi piccoli di iniziare un percorso di riscolarizzazione e far recuperare loro una nuova normalità. Alla ricostruzione ci penseranno gli Stati".

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