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Cos’è il defizit e perché è il vero incubo della Russia colpita dalle sanzioni

La banca centrale ha esaurito gli strumenti: “Verso tassi più bassi, maggiore inflazione e scaffali vuoti“. Come nell’Urss. “Servono riforme liberali, impera un pericoloso statalismo”.
A cura di Redazione
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Questo articolo non è firmato a tutela del nostro inviato a Mosca, dopo l'approvazione di leggi contro la libertà di stampa in Russia

Vladimir Putin ha appena confermato Elvira Nabiullina a capo della banca centrale russa per altri cinque anni. La decisione dovrà essere avallata dal Parlamento, che comunque fa quel che dice Putin.  Ma la brava cassiera dello zar non ha più molti strumenti a disposizione per contrastare l’effetto delle sanzioni che fanno tremare l’economia e deprezzano il rublo. Mentre, con i beni che iniziano a scarseggiare e il governo che parla di “manager esterni” e “riconversione” per le aziende, in Russia tornano ad agire forze che ricordano tanto l’Unione Sovietica.

Tassi invariati al 20%,  pochi strumenti per la Banca di Russia

L’istituto di emissione per ora non alleggerisce le difese: nella riunione di venerdì del suo comitato per la politica monetaria ha lasciato i tassi d’interesse al livello più alto degli ultimi 19 anni, con il benchmark al 20%. La sensazione però è che di difese non possa ergerne di nuove. “L’economia russa sta entrando in una fase di trasformazione strutturale su larga scala, che sarà accompagnata da un temporaneo ma inevitabile periodo di aumento dell’inflazione”, si legge nel comunicato che ha accompagnato la decisione. Laddove il Pil “nei prossimi mesi si contrarrà”. Prezzi e attività economica “saranno largamente influenzati dalla politica fiscale“. Cioè dalle decisioni del governo, più che da quelle dalla banca centrale. Dopo che le sanzioni hanno congelato circa due terzi delle sue invidiabili riserve in valuta, la Banca di Russia ha imposto restrizioni alle transazioni non denominate in rubli, ha ordinato agli esportatori di vendere valuta straniera e ha raddoppiato il costo del denaro. La cassetta degli attrezzi a disposizione è rimasta vuota, o quasi.

Inflazione sovietica: il ritorno dei defizit

Inflazione “inevitabile”, quindi. E secondo alcuni economisti anche parecchio anomala: “Si tratta di un’inflazione di tipo ‘sovietico’, che si manifesta non tanto con l’incremento dei prezzi quanto con la mancanza di beni”, dice a Fanpage.it Alexander Abramov, docente della Scuola superiore di economia (Hse), la Bocconi moscovita. “Il rischio principale adesso è la scarsità di beni di consumo e di beni durevoli, nei negozi e online. Mancheranno, ovviamente, soprattutto le merci finora importate”. Ai tempi dell’Urss si chiamava defizit: la parola venne a significare tutto ciò che era più richiesto e non si trovava. Dalle scarpe buone di marca straniera agli assorbenti, dal mascara alle salsicce. Se vedevi una coda davanti a un negozio, anche se non sapevi per cos’era ti ci fiondavi, a volte vendessero qualche defizit. Per i russi di una certa età, è ancora un incubo.

Verso un allentamento della politica monetaria

“L’inflazione attuale (il tasso è al 12,5% ma secondo il consenso degli economisti salirà almeno al  20% nei prossimi mesi, ndr) è dovuta interamente a uno shock dalla parte dell’offerta. È colpa delle sanzioni e delle chiusure delle aziende. Il lato della domanda non c’entra niente. Per questo anche tassi d’interesse a questi livelli non la freneranno”, nota Abramov. L’alto costo del denaro “serve solo a evitare che i risparmiatori prelevino i loro deprezzati rubli dalle banche”. Intanto, costituisce un bel limite per le imprese e per gli istituti di credito. Soprattutto per questi ultimi, che “non hanno utili sufficienti per potersi permettere di pagare tassi così alti”.  Abramov prevede che entro tre o quattro mesi la banca centrale li abbasserà, i tassi d’interesse. “Si prenderà una direzione diversa da quella attuale, dicono la mie fonti: tassi più bassi e una politica più aggressiva di rifinanziamento alle imprese. A quel punto, con l’allentamento della politica monetaria, aumenteranno ulteriormente i rischi per l’inflazione”. E più che i prezzi, secondo la teoria di Abramov, aumenteranno i defizit dei prodotti in vendita. Ben tornati nell’Unione Sovietica.

Il fantasma del Gosplan

Tra le possibili decisioni che rischiano di far tornare realtà gli incubi dell’homo sovieticus, anche la prospettiva di espropriare le aziende che chiudono le attività in Russia, mettere manager esterni a dirigerle e riconvertirle alla produzione di beni per il mercato interno. Vi ha accennato lo stesso Putin. Si tratterebbe, insomma di nazionalizzare e dirigere l’economia. “Non riesco proprio a capire”, si lamenta Abramov. “Alla fine degli anni ’80 – ricorda – lavoravo al ministero delle finanze, e ho visto come funziona l’economia ‘amministrativa’, ho visto come funzionava il Gosplan (l’agenzia per la pianificazione economica dell’ Urss, ndr). È impossibile ricostruire quel sistema, soprattutto se si cerca di farlo in tempi brevi. È un inefficiente e complicato. Governo e banca centrale non hanno alcuna reale possibilità di far tornare un’economia di mercato a essere l’economia amministrata dall’alto che avevamo nell’Unione Sovietica, e nemmeno qualcosa di simile”.

Meglio che stare zitti

La banca centrale, in particolare, nell’Urss aveva essenzialmente due compiti: assicurare la realizzazione dei piani economici e controllare il potere d’acquisto delle famiglie. La riconfermata Nebiullina ha una visione troppo sofisticata dell’economia perché possa permettere una tale involuzione del suo istituto. Eppure il comunicato di venerdì parla di “trasformazione strutturale su larga scala”, e fa pensare che il processo riguardi anche la Banca di Russia. Ma se i policy makers non sono in grado di farle davvero, perché ventilano trasformazioni che sembrano andare in senso statalista? “Probabilmente per far vedere che stanno facendo qualcosa per fronteggiare la situazione, per non restare in colpevole silenzio“, risponde Abramov. “O almeno spero che sia così. Ho paura che invece ci provino davvero, ad andare in direzioni del tutto improbabili ed estremamente rischiose per il Paese“.

Come uscirne

Se la situazione bellica e quella politica si evolvessero nel migliore dei modi possibili e le pressioni esterne sull’economia russa svanissero come d’incanto, per tornare a una “normalità economica” – sostiene Abramov – servirebbe l’esatto contrario di quello che Putin ha prospettato: “La Russia ha bisogno di liberalizzare davvero il mercato. Si tratta di riconquistare la fiducia del mondo: dovremo far vedere che siamo un’economia di mercato e che su sulle basi del mercato vogliamo ricostruire le nostre relazioni”. Riforme liberali, insomma. Come nei caotici anni ’90, quando sembrò che tutto fosse possibile. Anni che però i russi ricordano come disastrosi. “Furono fatte molte scelte sbagliate. Resta il fatto che senza le riforme liberali di allora l’economia, uscita distrutta dalla dissoluzione dell’Urss, non avrebbe potuto operare in alcun modo.  E tutto sarebbe andato ancora peggio”. La situazione economica dopo la crisi attuale sarà così terribile come quella che si presentò allora? “Sono situazioni diverse ma comparabili, perché entrambe di estrema emergenza.  Per uscirne sarà necessario liberalizzare l’economia. Ma quello che vedo e che sento è che stiamo andando in una direzione completamente diversa, con un maggior ruolo dello stato. E questo comporta rischi enormi, per la Russia“.

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