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Cosa succederà in Russia dopo la vittoria di Putin alle elezioni: “Solo totalitarismo e guerra”

Con i risultati record delle presidenziali “il regime giustificherà una sempre maggiore aggressività”, dicono i politologi sentiti da Fanpage.it. Sempre meno possibilità di pace in Ucraina e di un riavvicinamento all’Occidente. Anche se secondo i sondaggi è proprio ciò che la maggior parte dei russi vorrebbe.
A cura di Riccardo Amati
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L'"operazione presidenziali" del Cremlino è perfettamente riuscita e i numeri record comporteranno una ancor maggiore aggressività del regime di Vladimir Putin. In politica interna come nella guerra all’Ucraina e più in generale in politica estera. Unico problema per lo zar: i numeri sono falsati, indicano le analisi statistiche e politologiche. Come sempre avviene alle urne nelle dittature e i nei totalitarismi più o meno ibridi. Dove il consenso è plebiscitario ma può annullarsi in un battibaleno quando le cose si mettono male.

L’operazione elettorale speciale

"Più che elezioni, definirei quel che abbiamo visto come una ‘operazione elettorale speciale’", dice a Fanpage.it da Mosca Alexei Minyaylo, attivista e cofondatore del progetto di ricerca sociale Cronache, che ha negli ultimi mesi ha condotto sondaggi tra i russi. "Falsificando le presidenziali in modo spudorato, Putin ha voluto dimostrare di avere il controllo totale del sistema, di essere in grado di fare qualsiasi cosa, di ottenere tutto quel che vuole. Il messaggio era rivolto sia ai russi che all’Occidente e al Sud globale. I russi ha voluto spaventarli, a suon di cifre che possano far pensare abbia preso almeno il 50% dei voti anche al netto dei brogli. All’Occidente, utilizzando lo stesso ragionamento, ha voluto far vedere che — nonostante Usa ed Europa lo accusino di essere un criminale — ha il supporto pressoché totale di un grande popolo dalla pelle bianca. Mentre al Sud globale è apparso come un presidente eletto e sostenuto dai suoi concittadini".

Alexei Minyaylo, istituto sondaggi Cronache
Alexei Minyaylo, istituto sondaggi Cronache

E quindi con tutta l’autorevolezza necessaria per guidare quella parter del mondo nella lotta per un sistema internazionale descritto come “multipolare”, di fatto sovranista e in contrapposizione al multilateralismo che finora ha prevalso nella comunità degli Stati ispirata dal liberalismo occidentale.

La realtà non è nei numeri

Mentre parliamo in videoconferenza con Minyaylo, Dozhd TV, che ormai trasmette dall’estero ed è visibile in Russia solo a condizione di avere un Vpn per crearsi una rete virtuale privata, illustra uno studio statistico secondo cui metà dei voti ottenuti da Putin sono stati falsificati. Fanno trenta milioni di schede. L’autore dello studio è l’osservatore elettorale Roman Udot. Ha utilizzato il metodo del famoso scienziato e analista forense sulle elezioni Sergei Shpilkin.

Il metodo consiste nel comparare l’affluenza alle preferenze per il vincitore e calcolare la differenza rispetto alla distribuzione gaussiana, ovvero normale. In passato si è rivelato piuttosto preciso. Minyaylo non è certo stupito della risultante mole di brogli e voti coercitivi: "Le inchieste che abbiamo condotto hanno rilevato opinioni fortemente discrepanti rispetto a ciò che il risultato ufficiale del voto suggerisce", spiega. Il sostegno dell’87% della popolazione a Putin dovrebbe significare sostegno alla contrapposizione con l’Occidente e alla guerra in Ucraina fino alla vittoria. Ma secondo le inchieste di Cronache alla fine di gennaio oltre la metà degli interpellati voleva il ripristino delle relazioni con i Paesi occidentali e il 58% una tregua con l’ Ucraina. E solo, solo tra il 28 e il 29% riteneva che Putin potesse davvero far la pace con l’Ovest e con Kyiv.

Totalitarismo e più risorse alla guerra

"Il Cremlino ottiene notevoli vantaggi da questa procedura amministrativa che chiama indebitamente ‘elezioni’ e che ha implementato con pieno successo", commenta a Fanpage.it il direttore editoriale del think tank Riddle Anton Barbashin. "Non è che numeri così sfacciati cambino davvero la faccia del regime, che è quella che è ormai da parecchio tempo, ma Putin potrà agire con sempre maggiore audacia nel raccogliere risorse per la sua guerra".

Anton Barbashin, think tank Riddle
Anton Barbashin, think tank Riddle

Secondo Barbashin un effetto del plebiscito elettorale sarà una più potente leva interna riguardo al confronto militare con Kyiv: "Non credo che arriverà alla mobilitazione generale, perché non sarebbe comunque digerita dalla popolazione. Potrà però spingere con la massima impudenza l’economia militare". Inoltre, il risultato del voto significa un’accelerazione della deriva totalitaria: "Putin renderà se mai possibile più dura la repressione di ogni minima opposizione. Nei prossimi giorni assisteremo a vere e proprie persecuzioni nei confronti di chi ha compiuto atti di sabotaggio ai seggi, per esempio".

Il risultato giustifica tutto

Più in generale, "sia i numeri sulle preferenze che quelli sull’affluenza sono esattamente quelli che il Cremlino ha studiato e deciso a tavolino", sostiene Barbashin. "E saranno utilizzati per giustificare qualunque politica Putin voglia fare nei confronti dell’Occidente e dell’Ucraina, oltre che per rendere più autorevole il suo proporsi come guida del Sud globale. Putin, dopo questi risultati, è senza limiti".

Insomma, non c’è proprio nulla di positivo se non per Putin, in queste elezioni? In fondo migliaia di oppositori hanno aderito alla "protesta di mezzogiorno" indetta da Yulia Navalnaya. Potrebbe essere l’inizio di qualcosa? "No, si è trattato solo di un momento terapeutico", risponde Barbashin. "Non cambia nulla, in politica. È servito solo a molta gente per mantenere la salute mentale e sopravvivere. Non c’è alcuna buona notizia, in queste elezioni. E non credo che ci saranno buone notizie per i prossimi sei anni. O per chissà quanti, di anni. Fino alla morte di Putin".

Una vittoria "tattica"

Secondo il politologo di San Pietroburgo Ilya Matveev, invece, quello acquisito dal leader del Cremlino il 17 marzo è un vantaggio solo "tattico": "Ha avuto quel che voleva, ed è per lui una vittoria. Ma solo transitoria", ci dice dalla California, dove è ricercatore presso l’Università di Berkeley. Matveev ha lasciato la Russia perché contrario all’invasione dell’Ucraina. Gli chiediamo di elaborare sul concetto di vittoria "solo tattica".

Ilya Matveev, UC Berkeley
Ilya Matveev, UC Berkeley

"Le elezioni in Russia non sono diverse da quelle che si tengono in altri regimi dittatoriali. Sono come le elezioni in Siria o in alcuni paesi dell’Asia centrale, dove il candidato prescelto può raggiungere il 99% delle preferenze". E quindi? "E quindi non rispecchiano necessariamente la realtà del Paese. O non la rispecchiano a lungo. Per esempio: in Tunisia Ben Ali prese il 90% alle elezioni e un anno dopo fu estromesso dal potere da una sollevazione popolare. Le dittature possono falsificare le elezioni, ma non significa che così facendo si assicurino per sempre il comando".

"La guerra di Putin non è la guerra dei russi"

Matveev ritiene che i numeri del 17 marzo non significhino che la guerra all’Ucraina si sia trasformata da "guerra di Putin" a "guerra di tutti i russi": "I risultati elettorali non indicano questo. Sono falsi. Dai sondaggi emerge chiaramente che il sostegno alla guerra è dovuto a motivi di necessità o alla paura, senza alcun entusiasmo nazionalistico".

Lo stesso per la sfida all’Occidente: "Il consenso anche su questo è fabbricato". Una sorta di elezione Potemkin, sostiene il politologo. Per controbattere, gli riferiamo le parole del nostro vice-premier Matteo Salvini: "Quando un popolo vota, ha sempre ragione". Le considera assurde. "Non sono state vere elezioni, si è solo trattato di scrivere il numero che piaceva a Putin", sostiene Matveev.

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