Cosa succede dopo l’attacco dell’India in Pakistan e cosa c’entra il Kashmir

Questa notte l’India ha attaccato il Pakistan. Un attacco missilistico, chiamato Operazione Sindoor che arriva dopo l’attentato di alcune settimane fa nel Kashmir indiano. La tensione tra i due Paesi, entrambi potenze nucleari, torna di nuovo alle stelle e la storia sembra ripetersi.
Quello di stanotte è il bilancio più pesante di vittime civili da circa 20 anni, ma il fuoco incrociato tra India e Pakistan non è una novità. Va avanti da quando sono nati i due Paesi, dopo la fine del dominio britannico: in circa 80 anni c’è stato un susseguirsi di conflitti, raid, rappresaglie. E il teatro di tutto è sempre il Kashmir, questa regione nell’Himalaya.
L'indipendenza e la prima guerra del Kashmir
La prima guerra del Kashmir risale alla fondazione di India e Pakistan, al 1947. Venuto meno il dominio britannico si sono formati due Paesi, l’India a maggioranza indù e il Pakistan a maggioranza musulmana, che hanno subito iniziato a contendersi questa regione nel mezzo. Nel 1949 si arriva a un cessate il fuoco e alla creazione della Linea di Controllo, lunga oltre 700 chilometri, che divide in due il Kashmir. Non sono due parti uguali, diciamo così: i due terzi sono sotto il controllo indiano, mentre il restante terzo circa sotto quello pakistano.
Nonostante questo accordo, sia l’India che il Pakistan hanno sempre rivendicato la propria sovranità sull’intero territorio. Nel 1965 è scoppiata una seconda guerra, dopo che nel Kashmir indiano è scoppiata un’insurrezione infiammata da separatisti provenienti dal Pakistan. Si contarono migliaia di morti. E poi, nel 1971, un nuovo conflitto, quando il Pakistan ha inviato nel Bengala orientale delle truppe per reprimere un movimento separatista, sostenuto dall’India.
Le fasi recenti dello scontro armato
E poi ancora, nel 1984 riscoppia lo scontro armato per occupare un ghiacciaio a cinquemila metri, nel 1989 un’insurrezione dei musulmani nel Kashmir indiano viene repressa nel sangue, e nel 1999 esplode la guerra nella regione del Kargil, quando Nuova Delhi accusa di nuovo il Pakistan di infiltrare combattenti islamisti nel suo territorio per prenderne il controllo. Più recentemente, nel 2016 e nel 2019 ci sono stati altri episodi di violenze, che hanno causato morti da entrambe le parti. Non si è mai sfociati di nuovo in una guerra aperta vera e propria, certo, ma la questione rimane irrisolta.
Il nuovo attacco missilistico
Questa notte l’India ha lanciato un attacco missilistico contro 9 siti nel Kashmir pakistano, specificando però di aver preso di mira solo obiettivi legati a gruppi terroristi, non all’esercito di Islamabad. E precisando che si trattasse di una risposta precisa all’attentato avvenuto lo scorso 22 aprile nel Kashmir indiano. Un attacco terroristico rivendicato dal gruppo Resistenza del Kashmir, legato a un altro gruppo di miliziani, più noto: Lashkar-e-Taiba. Si tratta di una delle organizzazioni terroristiche più grandi dell’Asia meridionale, composta principalmente da radicali religiosi pakistani, sunniti ultraortodossi. Nell’attacco è avvenuto a Pahalgam, una nota località turistica di quella regione, sono rimaste uccise 26 persone, tutte indiane ad eccezione di una nepalese. Le autorità indiane hanno accusato il Pakistan di dare supporto ai miliziani che hanno lanciato l’attacco, e da qui la rappresaglia.
Nell’attacco missilistico indiano sarebbero rimaste uccise decine di persone, compresi civili È stato colpito sia il Kashmir pakistano che alcuni siti nella provincia del Punjab, nell’est del Paese. Le autorità indiane hanno detto di aver preso di mira solo obiettivi legati ai gruppi terroristici ritenuti responsabili dell’attentato di aprile, ma da Islamabad hanno raccontato una versione diversa. Secondo il Pakistan sarebbero state colpite anche infrastrutture civili e diverse persone, tra cui anche dei bambini, sarebbero rimaste uccise.
Gli avvertimenti di Nuova Delhi e Islamabad
Dopo i missili India e Pakistan hanno aperto il fuoco lungo la Linea di Controllo e Nuova Delhi ha accusato a sua volta Islamabad di aver ucciso dei civili. Il primo ministro pakistano, Shebaz Sharif, da parte sua, ha detto che quello lanciato dall’India è stato un “atto di guerra” e che il Pakistan ha intenzione di rispondere con forza. E in una nota ha scritto: “In conformità con l'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, il Pakistan si riserva il diritto di rispondere, per legittima difesa, nel momento, nel luogo e nel modo che riterrà più opportuno, per vendicare la perdita di vite innocenti di pachistani e la palese violazione della sua sovranità”
La comunicazione indiana è stata molto diversa. Il ministro della Difesa, dando notizia dell’attacco, ha subito definito l’operazione come “mirata, misurata e non volta all’escalation”. Ha detto che sono stati utilizzati missili di precisione e che non sono stati colpiti obiettivi legati all’esercito pakistano. Vi leggo poi la nota del ministero degli Esteri indiano: “Questa mattina presto l'India ha esercitato il proprio diritto di rispondere, prevenire e al contempo dissuadere ulteriori attacchi transfrontalieri. Queste azioni sono state calibrate in modo da non creare escalation, proporzionato e responsabile. Esse hanno mirato a smantellare le infrastrutture terroristiche e neutralizzare i terroristi che si prevede fossero inviati in India".
Le reazioni della comunità internazionale
Un’escalation non conviene a nessuna delle due parti. Che ne sono entrambe consapevoli. Sia l’India che il Pakistan possiedono armi nucleari e il rischio di un incidente o di un attacco atomico deliberato sono cose che il mondo intero non può permettersi.
Anche in questo caso, dopo gli attacchi di questa notte, il resto del mondo ha chiesto a India e Pakistan di fermarsi. “Il mondo non può permettersi uno scontro militare tra Nuova Delhi e Islamabad”, ha detto il portavoce di Antonio Guterres, il segretario generale dell’Onu. A offrirsi come mediatore poi è stato anche l’Iran, visto che il suo ministro degli Esteri ieri si trovava nella capitale pakistana e invece oggi sarà in quella indiana: una missione già programmata per provare a fare da sponda e a evitare l’escalation dopo l’attentato del 22 aprile, ma che di colpo si è fatta decisamente più complessa. Anche gli Stati Uniti stanno facendo la loro parte: hanno chiesto subito una ricomposizione della crisi e il segretario di Stato Marco Rubio avrebbe già parlato con i consiglieri per la sicurezza nazionale di entrambi i Paesi, esortandoli a mantenere aperte le comunicazioni.
Da dopo l’attentato del 22 aprile, infatti, tra i due Paesi non ci sono state altro che accuse reciproce, che hanno portato a una serie di rappresaglie diplomatiche, prima che ai missili. L’India aveva già declassato i rapporti con il Pakistan, sospendendo un trattato sulla condivisione delle acque e revocando i visti ai cittadini pakistani. E, in risposta, il Pakistan aveva estromesso le compagnie indiane dal suo spazio aereo e sospeso gli scambi commerciali.
Cosa può succedere ora
Il fuoco incrociato non è una novità tra India e Pakistan. Ma il fatto che queste violenze siano diventate quasi strutturali senza sfociare mai nell’escalation non deve rassicurare. Perché è il segnale di come la questione del Kashmir rimanga fondamentalmente irrisolta, paralizzata. È un circolo vizioso di attacchi, rappresaglie, accuse reciproche che potenzialmente possono sempre esplodere in qualcosa di più violento.