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L’Iraq 5 anni dopo la sconfitta dell’Isis: “A Mosul donne e uomini hanno ripreso a vivere”

Il racconto a Fanpage.it di Angela Brucato, capo progetto di Medici Senza Frontiere a Mosul, dove cinque anni è stato sconfitto lo Stato Islamico: “Situazione sanitaria precaria e città vecchia ancora distrutta, ma la gente ha voglia di ripartire”.
A cura di Ida Artiaco
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A destra Angela Brucato.
A destra Angela Brucato.

"Le persone stanno ricostruendo la città, ma anche la loro vita. Vanno avanti ma i traumi dei bombardamenti e delle perdite subite sono anche vivi". Angela Brucato è capo progetto di Medici Senza Frontiere a Mosul, in Iraq, dove ormai 5 anni fa è stata archiviata la battaglia che ha portato alla sconfitta dello Stato Islamico.

Era esattamente il luglio del 2017 quando le forze irachene hanno strappato il controllo di Mosul, la seconda città più grande dell'Iraq, alle mani dell'Isis. Di certo, la vittoria non sarebbe potuta arrivare senza il sostegno della coalizione guidata dagli Stati Uniti, che ha aiutato ad armare, addestrare ed equipaggiare i soldati iracheni.

A Fanpage.it, Brucato, che si trova in Iraq da circa due anni, ha raccontato cosa è cambiato nella città e come si sta affrontando la ricostruzione.

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Cosa sta facendo Medici senza Frontiere a Mosul?

"Come MSF gestiamo qui tre ospedali, tra cui uno di maternità, dove effettuiamo all'incirca ottomila nascite annuali e offriamo anche servizi terapia intensiva neonatale. Abbiamo anche servizi di salute mentale e un enorme ospedale di chirurgia ortopedica dove effettuiamo circa mille operazioni all'anno".

Cosa è cambiato negli ultimi 5 anni, da quando è finita la battaglia contro l'Isis?

"C'è stato un miglioramento generale della sicurezza nel Paese, sono stati rimossi molti posti di blocco, li ho visti con i miei occhi essendo qui da quasi due anni.

Durante la battaglia per la presa della città erano stati anche distrutti i ponti che collegano Mosul alla parte Ovest e Est divise dal fiume Tigri. Le persone stanno ricostruendo non solo la città ma anche le loro vite.

Purtroppo, il quartiere della città vecchia, distrutto dai bombardamenti, è ancora oggi in rovina. Per quanto riguarda gli ospedali, la maggior parte sono andati distrutti durante gli attacchi e sono ancora un cantiere a cielo aperto".

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Cosa ci può dire della condizione delle donne?

"Il target dello Stato islamico erano sia le donne che gli uomini. Possiamo dire che c'erano regole stringenti per tutta la popolazione. Quello che so dai racconti del nostro staff è che alle donne veniva imposto il burqa come agli uomini veniva chiesto di avere la barba, di non fumare e di indossare pantaloni tagliati sotto al ginocchio. Oggettivamente questo non succede più ed esce fuori anche parlando con la gente del posto".

Come è la situazione sanitaria a Mosul?

"È molto precaria, durante il picco dei casi Covid abbiamo aperto due Covid Hospital perché mancavano ventilatori e altri macchinari. La situazione è ora sotto controllo ma mancano ancora medicinali di base per cui la gente può avervi accesso tramite piccoli ospedali privati ma sono tutti a pagamento.

Ci sono stati anche alcuni casi di colera però la situazione ora è sotto controllo".

Che lezione ha imparato negli ultimi anni vivendo a Mosul?

"Prima avevo paura di venire qui, del terrorismo. Ma non bisogna avere questi pregiudizi. Ho sperimentato sulla mia pelle quanto questa popolazione possa essere accogliente, ha voglia di continuare  a vivere.

Ora ci sentiamo al sicuro, abbiamo ottime relazioni con la gente locale, anche se di quel periodo è rimasto il trauma mentale. Le storie sono ancora vive, quando ci raccontano dei bombardamenti e delle perdite subite le tracce si sentono ancora".

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