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Effetti della crisi: Iva al 22% e in forse l’eliminazione dell’Imu. Ma non solo

Con la crisi di Governo l’aumento dell’Iva è inevitabile. Ma a rischio vi sono anche altri provvedimenti, tra cui l’eliminazione della seconda rata Imu.
A cura di Redazione
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Non c'è solo l'aumento dello spread come diretta conseguenza della crisi di Governo aperta da Silvio Berlusconi. Già, perché come ricordato nelle ultime ore, senza una maggioranza qualificata e senza un Governo legittimato da numeri in Parlamento, sono a rischio provvedimenti cruciali per la stabilità economico – finanziaria del nostro Paese. A cominciare dall'aumento dell'Iva, che scatterà martedì e vedrà l'imposta passare dal 21 al 22 percento, con un aggravio di circa 100 euro all'anno per ogni famiglia italiana. Ma non solo, perché come ricorda Mario Sensini sul Corsera, potrebbero "esserci problemi anche sulla prima rata dell'Imu. Il decreto che l'ha cancellata è ancora in Parlamento e potrebbe finire ostaggio della crisi politica. Se non dovesse essere convertito in legge, verrebbero a mancare, oltre al presupposto per l'abbattimento della seconda rata, anche le coperture previste per compensare lo sgravio di giugno".

A saltare sarebbe anche la controversa sanatoria sui giochi, che avrebbe dovuto portare nelle casse dello Stato circa 600 milioni di euro. Ma soprattutto ciò che appare in discussione è una intesa complessiva sulla legge di stabilità, da presentare entro il 15 ottobre e nella quale avrebbero dovuto trovare posto anche altri provvedimenti fondamentali, dal taglio del cuneo fiscale alla revisione della tassazione sul lavoro, dal rifinanziamento delle missioni militari all'estero a quello della cassa integrazione. A manifestare tutta la preoccupazione del Governo è il ministro Giovannini: "Senza legge di stabilità si rischia il blocco dell'amministrazione pubblica e si rischia di vanificare tutti gli sforzi fatti in questi anni per resistere alla crisi".

Una lettura che è sostanzialmente condivisa da analisti ed osservatori internazionali e che è ben riassunta su LaVoce.info in un editoriale dal titolo eloquente "Basta Scherzare col fuoco":

"La crisi che si è aperta potrebbe produrre un brusco incremento dell’onere di un debito pubblico che ha ormai superato il 130 per cento del Pil. È probabile che nei prossimi giorni le agenzie di rating decidano un ulteriore downgrading che priverebbe i nostri titoli di stato della caratteristica di essere “investment grade”, con ciò obbligando molte istituzioni finanziarie, sia italiane che estere, a vendere lo stock in loro possesso. […] Ricordiamo che da qui a giugno (data di presumibile chiusura della crisi politica dopo nuove elezioni) ci sono circa 240 miliardi di aste di titoli di stato. Se il rendimento dei titoli aumentasse di 100 punti da qui ad allora avremmo un aggravio dei costi per il servizio del debito di circa 2,4 miliardi, come la seconda rata dell’Imu. A regime il costo sarebbe di più di 20 miliardi, vanificando più di metà delle manovre fatte dal 2011 per fronteggiare la crisi del debito".

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