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Il caso banca popolare di Bari

Popolare di Bari, così la banca si è “comprata i sindacati”

Quello della Banca Popolare di Bari è un caso di specie che conferma come le responsabilità del disastro del sistema bancario italiano siano condivise. E come anche il mondo sindacale non sia esente da colpe.
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(articolo modificato mercoledì 6 aprile 2022, alle ore 16:52)

"In guerra come in guerra… si è comprato i sindacati”. A pronunciare queste parole, che si ritrovano a pagina 372 del provvedimento cautelare del Gip del Tribunale di Bari che ha portato all’arresto di Mario e Gianluca Jacobini, storici proprietari della Banca Popolare di Bari  è Alberto Maria Antodaro, responsabile Area Basilicata Banca Popolare di Bari e membro della commissione regionale Abi Puglia. Si riferisce, Antodaro, proprio a Jacobini padre e figlio, nel mezzo della difficile gestione della crisi dell’istituto di credito pugliese.

Non è un’affermazione di poco conto, soprattutto alla luce degli esuberi previsti – dagli 800 ai 1000 – previsti dopo il commissariamento deciso dal consiglio dei ministri dello scorso 14 dicembre. Numeri enormi, seppur mitigati da scivoli pensionistici e incentivi all’uscita, per un gruppo che impiega poco più di 3000 dipendenti. Numeri che gettano ulteriori ombre non solo sulla gestione della proprietà e del management dell’istituto barese, ora sotto inchiesta e agli arresti, ma anche sul lavoro di controllo e tutela dei lavoratori esercitato dai sindacati a partire dal 2014, quando la Popolare di Bari, dopo l’acquisizione della Cassa di Risparmio di Teramo, ha imboccato una crisi da cui non si è più ripresa. Sigle che, stando alle carte del Tribunale di Bari e alla documentazione di cui entrata in possesso Fanpage.it. non sarebbero esenti dal crac della banca barese. Soprattutto, se le parole di Antodaro vengono lette alla luce di alcune “strane” assunzioni e promozioni che si sono succedute in questi ultimi anni all’interno della Popolare di Bari. Una prassi strana che si può riassumere in una regola aurea: chi elogia viene promosso, chi denuncia viene defenestrato.

Il primo caso, il più eclatante, è quello di Carmine Iandolo: fino al 2016 la FABI (Federazione Autonoma Bancari Italiani), sebbene fosse il primo sindacato di categoria a livello nazionale, era poco rappresentativo in Banca Popolare di Bari. I suoi pochi iscritti erano prevalentemente concentrati in provincia di Potenza mentre sulla piazza di Bari risultava poco rappresentativo. Questo fino a quando Iandolo, già impegnato in attività sindacale, decide di iscriversi alla FABI. Da quel momento, sulla piazza di Bari, la FABI cresce in maniera esponenziale fino ad annoverare, tra i propri iscritti, caso abbastanza atipico alti Dirigenti e funzionari molto vicini alla famiglia Jacobini. È solo un caso che gli iscritti alla Fabi crescano quasi contestualmente alla firma dell’accordo sulla solidarietà dell’agosto 2017? Mistero.

Iandolo, nel frattempo, viene nominato responsabile dell’Organo di Coordinamento di Gruppo – BPB e Cassa di Risparmio di Orvieto – direttamente dal segretario nazionale Lando Sileoni nonchè capo della delegazione trattante con l’azienda. Nello stesso periodo viene nominato membro anche del Dipartimento Welfare della FABI, ruolo solitamente riservato ai militanti di lungo corso. Non entriamo nel merito della decisione. Ma è curioso che per tale ruolo sia scelto un personaggio che a un consesso nazionale della FABI del marzo 2017,  epoca in cui i prodromi della disastrosa situazione della BPB erano fin troppo evidenti, affermasse che la BPB "….è gestita magistralmente dal nostro grande Presidente Marco Jacobini, con la collaborazione dei suoi figli dott. Gianluca Jacobini e dott. Luigi Jacobini…." e che il suo segretario Sileoni “….è mitico”

Caso isolato? Assolutamente no, se si torna indietro nel tempo. Nel 2007, infatti, si registra il caso di Carmine Del Monaco, che durante il suo mandato di segretario regionale FISAC/CGIL fu assunto come Responsabile delle Risorse Umane. O il caso di Fulvio Calcagni, figlio di Giuliano, attuale segretario nazionale FISAC/ CGIL, che fu assunto e lavorò fino al 2018 in Banca Popolare di Bari e assegnato, a Roma, presso l’Ufficio Enti e Pubblica amministrazione, lo stesso Ufficio dove attualmente lavora Alessio Lannutti, figlio del senatore Elio, fondatore ed attuale presidente onorario di ADUSBEF, che aveva proposto ricorso al TAR contro il decreto di trasformazione in Spa delle banche popolari da sempre fortemente contrastato dalla famiglia Jacobini.

È qui che entra in scena un altro sindacalista: Claudio Gulinello, segretario nazionale di riferimento per FALCRI BPB. Nel febbraio del 2010, tre mesi dopo la loro denuncia, tre sindacalisti che hanno denunciato tali pratiche sono stati sospesi e successivamente espulsi dal Sindacato. Nello stesso mese, i tre sindacalisti dissidenti propongono ricorso all'esito del quale, con sentenza del Giudice monocratico, vengono reintegrati. Contraria alla sentenza di reintegra, la FALCRI ricorre in appello, ma la sua richiesta è rigettata dal Tribunale di Bari.

Anche Gulinello ha i suoi scheletri nell’armadio: il 5 ottobre del 2010 l'Associazione FALCRI BPB viene commissariata e Claudio Gulinello, membro della Segreteria Nazionale e già Referente nazionale per la BPB, viene nominato Commissario. Ma nel 2014 Claudio Gulinello, insieme a Maria Angela Comotti, viene citato in giudizio dalla FALCRI Banca Intesa per aver sottratto fondi alle casse dei sindacato e, nel 2017, viene condannato in primo grado per appropriazione indebita ed espulso, notizia, questa, riportata da "Il Fatto Quotidiano" del 1 aprile 2017).

Nel frattempo, che fine hanno fatto i tre whistleblower? Alla fine del 2011 si iscrivono all’UGL (Unione Generale del Lavoro), ma, nell’agosto del 2017, tuttavia, ai tre sindacalisti-whistleblower, nel frattempo passati a questa sigla, vengono revocate, da parte della Segreteria Nazionale UGL Credito, tutte le cariche sindacali e sostituiti, in quanto ritenuti colpevoli di non aver sottoscritto l'accordo sulla solidarietà del 5 agosto 2017. Accordo che prevedeva, per i dipendenti della Banca Popolare di Bari, giornate di solidarietà obbligatoria – caso raro se non unico nel panorama bancario italiano contrariamente a quanto indicato dalle varie segreterie sindacali nazionali che hanno sempre inteso e preteso solo la solidarietà volontaria – da un minimo di 18 giorni e fino ad un massimo di 33 giorni.

Chi elogia viene promosso, chi denuncia viene defenestrato. In un momento di vertenze legate al commissariamento della banca non esattamente la migliore delle premesse possibili.

Pubblichiamo, la lettera di replica e rettifica inviataci dal segretario generale di Fabi Lando Maria Silleoni

Gentile Direttore, l’articolo pubblicato oggi su FanPage.it, «Popolare di Bari, così la banca si è comprata i sindacati», contiene alcune gravi inesattezze e informazioni false. Ritengo quindi doveroso spiegare ai suoi lettori e a tutti gli interessati alcuni aspetti fondamentali. È anzitutto scandaloso sostenere che quello della Fabi, tra i vari casi riportati nell’articolo, sia quello «più eclatante». Quanto al ruolo del nostro coordinatore alla Popolare di Bari, Carmine Iandolo, l’autore del pezzo sbaglia nel riferire che lo stesso Iandolo sia stato nominato direttamente dal Segretario Generale: i coordinatori aziendali e di gruppo, così come prescritto dallo statuto Fabi oltre che dallo statuto dei lavoratori, sono nominati, infatti, dalle rappresentanze sindacali aziendali. E ancora: Iandolo, prima di passare alla Fabi, era in un’altra sigla e, nel trasferimento, ha portato con sé diversi iscritti. È, poi, altamente lesivo della nostra immagine e della nostra reputazione scrivere che la Fabi annovera tra gli iscritti «alti dirigenti e funzionari molto vicini alla famiglia Jacobini»: tale affermazione è falsa e gravemente diffamatoria. C’è infine da precisare il passaggio dell’articolo relativo alle dichiarazioni di Iandolo a un nostro evento di fine 2017, riservato ai dirigenti sindacali. Affermazioni che traevano fondamento dalla preoccupazione, dello stesso Iandolo così come di altri sindacalisti, circa l’ipotesi di una vendita dell’istituto pugliese a un altro gruppo bancario che, peraltro, aveva chiuso il 2016 col bilancio in utile.

Di fronte a nuovi articoli contenenti informazioni false e diffamatorie, valuteremo tutte le azioni a tutela della nostra immagine e reputazione.

Con i miei migliori saluti

Lando Maria Sileoni
Segretario Generale Fabi

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