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Perché è giusto tassare gli extraprofitti delle banche per aiutare i lavoratori contro l’inflazione

La misura disposta dal governo per tassare gli utili record delle banche è giusta e doverosa, se serve a combattere l’inflazione per lavoratori e pensionati. Eppure c’è chi straccia le vesti ogni volta che si prova a trasferire ricchezza dall’alto al basso.
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La storia degli extraprofitti delle banche e della loro tassazione, in fondo, è piuttosto semplice. Le banche quest'anno hanno fatto risultati molto positivi – le sei principali banche italiane hanno incrementato gli utili in media di oltre il 60% nei primi sei mesi del 2023, per dire, superando quota 11 miliardi di euro – grazie a una cosa che si chiama “margine d'interesse”.

In pratica, ogni volta che la Bce alzava i tassi d’interesse – ed è successo spesso, quest’anno, per combattere l’inflazione – loro applicavano quei tassi, sempre più alti, a chi chiedeva loro i soldi. Ad esempio, a chi voleva contrarre un mutuo o chiedeva un prestito per la sua attività. Mentre non li adeguavano alla clientela che aveva depositato quei soldi sul conto corrente.

Tutto perfettamente legittimo, intendiamoci, e pure molto remunerativo. Mese dopo mese le banche registravano risultati sempre migliori, che si traduceva in trimestrali molto buone, che si traduceva in azioni che crescevano di valore giorno dopo giorno, con grande gioia degli azionisti. Per dire, nei sei mesi precedenti tra settembre 2022 e febbraio 2023, l'indice Ftse Italia Banche ha fatto segnare un incredibile  +66%, contro il +25% dell'indice generale Ftse Mib. Quasi tre volte tanto. Attenzione: non perché abbiano fatto investimenti migliori, o perché abbiano conquistato quote di mercato a discapito di qualche concorrente. Semplicemente, perché hanno approfittato dei tassi in crescita e del margine d’interesse.

Poi succede che il governo decide, pare senza grosse resistenze da parte del mondo bancario, che era stato debitamente avvisato, di mettere una tassa una tantum – valida cioè per il solo 2023 – sui profitti in eccesso realizzati attraverso questo margine d'interesse. Si stima una cifra attorno ai 2 miliardi. Che è una quota misera di tutto quel che hanno guadagnato le banche in questi mesi di vacche grasse, ma è tanta roba per uno Stato con le casse vuote.

Già, perché quello stesso aumento dei tassi che ha fatto la fortuna delle banche fa la sfortuna di chi come l’Italia deve pagare un interesse sul debito sempre maggiore. E ha sempre meno soldi da spendere, ad esempio, per finanziare l’aumento di stipendi e pensioni – su cui l’inflazione ha picchiato durissimo – pure per il 2024. Cosa che, peraltro, potrebbe avere indubbi benefici anche per le stesse banche: più soldi in busta paga, più consumi, più debiti, più mutui, più extraprofitti anche per il 2024, a farla breve.

In un mondo normale, sarebbe dura anche solo avere un contraddittorio, di fronte a una misura del genere. In Italia, invece, c'è chi si straccia le vesti per un giorno in cui la Borsa gira in negativo, paventando l'apocalisse finanziaria perché – orrore! – sono state tassate le banche invece dei lavoratori (spoiler: oggi la borsa si è già ripresa)

E ancora: c’è chi pensa che le banche scaricheranno il costo di questa imposta sui correntisti, mentre in realtà per evitare di pagare le tasse sugli extraprofitti basterebbe alzare i tassi d'interesse sui depositi, ad esempio – e ci sono banche che già hanno cominciato a farlo.

E c’è chi valuta questa mossa come recessiva, come se aumentare i soldi in busta paga di chi non ne ha e che può spenderli nell'economia reale, anziché investirli ovunque nel mondo come fanno le banche, dovesse mandarci tutti in rovina.

Curiosità: gli stessi che oggi si stracciano le vesti per le povere banche, sono gli stessi che ieri plaudevano il governo per aver cancellato il reddito di cittadinanza per centinaia di migliaia di famiglie indigenti. E che bollano come populismo ogni tentativo di trasferire ricchezza dall’alto al basso. Comunque la pensiate, fateci caso.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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