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Opinioni

Eurolandia, siamo alla morte dell’austerità?

Gli analisti di Morgan Stanley sembrano crederlo e pensare che se verranno implementate ulteriori riforme strutturali la cosa potrebbe non dispiacere ai mercati, anzi. Dato che di troppo rigore si muore, letteralmente…
A cura di Luca Spoldi
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Mentre in Italia si discutere (ancora!) se sia meglio “evitare” di fare ulteriori debiti e diventare così dei “virtuosi” a tutti gli effetti e soprattutto agli occhi degli amici tedeschi (che a settembre eleggono il nuovo parlamento e potrebbero far persino cadere la finora inossidabile Frau Merkel se sospettassero, orrore, che costei sta per cedere ai piagnistei di quei paesi del Sud Europa che sono finora stati descritti, in qualche caso non del tutto a torto, come degli scialacquatori di fondi altrui, se non fosse che gli acquisti effettuati dagli “scialacquatori” sono spesso finiti nelle casse delle maggiori aziende europee e tedesche in particolare), o se sia meglio approfittare del momento e cercare di ottenere dilazioni e se non nuove aperture di credito almeno la possibilità di scorporare dal computo dell’ormai “famigerato” (come ogni purgante somministrato con troppa generosità dal medico di turno) rapporto deficit/Pil almeno 100 miliardi di euro di “investimenti infrastrutturali” in corso o programmati, gli analisti di Morgan Stanley prendono carta e penna (digitale) e mettono nero su bianco la domanda che molti si pongono: in Eurolandia siamo alla “morte dell’austerità?”.

Maggior tempo per ridurre i deficit di bilancio, minore stretta fiscale e programmi di stimoli mirati “sono tutti segnali che l’austerità in cima all’austerità non è più il nome del gioco” scrivono gli esperti, che cercano di capire cosa questo possa significare in termini di finanza pubblica, crescita economica, politiche macro e sentiment di mercato. Anzitutto vi sono maggiori buone notizie: “L’Eurozona continuerà ad aggiustare le sue finanze pubbliche, perché il ritmo di fondo del consolidamento fiscale, ossia un bilancio in pareggio strutturale, non è davvero cambiato molto dai piani precedenti. Ma più ampi disavanzi complessivi significano anche che il debito raggiungerà il picco più tardi” del previsto. Poi vi sono secondo gli esperti minori cattive notizie: “Il cambiamento maggiore è che stringere di più la cinghia, proprio a causa dei deficit di bilancio dovuti alla crisi economica, non è più in voga. Lasciando che gli stabilizzatori automatici lavorino più liberamente, un ostacolo alla stabilizzazione economica è stato ora rimosso”.

Non vi sono poi ulteriori notizie pessime, anzi: “Il nuovo programma realizza uno scambio più equilibrato tra la sostenibilità fiscale e la crescita economica, riducendo così il rischio di un circolo vizioso in cui maggiore austerità per raggiungere gli obiettivi concordati causa una più profonda recessione e anche deficit più elevati”. Il che di per sé sarebbe un’ottima notizia, per inciso, ma non è finita qui, dato che gli analisti sottolineano come a livello macroeconomico “sapevamo già che l’impulso fiscale si stava trasformando in qualcosa di meno negativo. Ma il moltiplicatore è grande (in entrambe le direzioni) in una economia affamata di credito. Questo rende i rischi economici più equilibrati e potrebbe portare qualche rialzo a sorpresa dei Pil, in particolare nella periferia” Sud d’Europa. Possiamo iniziare a incrociare le dita anche noi italiani? Chissà.

Il problema di fondo (che per gli uomini di Morgan Stanley dovrebbe avere una soluzione positiva) è sempre lo stesso. I “bond vigilantes” sul mercato dovrebbero giudicare positivamente questa evoluzione (e dunque non tornare a scaricare titoli di stato facendo salire i rendimenti ed affossando nuovamente il bilancio degli stati più indebitati, come l’Italia) “finché continua l’attuazione di riforme strutturali, ad esempio riforme pensionistiche con conseguenze positive sulle finanze pubbliche e del mercato del lavoro con effetti a medio termine”. E qui qualche problema in Italia potremmo pure averlo visti i precedenti e vista la conclamata debolezza dell’attuale esecutivo “di unità nazionale”, non trovate?

Eppure gli analisti (notate che la ricerca è stata redatta, fra gli altri, da Daniele Antonucci, senior economist di Morgan Stanley responsabile per il Sud Europa, ossia Spagna, Italia, Grecia e Portogallo) appaiono fiduciosi e concludono: “non tutti i paesi beneficiare ugualmente. Eppure, per la regione nel suo insieme, la politica fiscale non compenserà più fortemente gli effetti espansivi della politica monetaria. E, rendendo le condizioni di politica fiscale meno rigorose, anche i disincentivi da applicare in cambio dell’attivazione del programma di acquisto di bond della Bce (Omt), se necessario, dovrebbero diminuire”. Insomma: di troppa virtù si rischia di morire e finalmente anche l’Eurozona (Germania in testa) sembra averlo capito. Se non succederanno sgradevoli imprevisti (purtroppo sempre possibili) potrebbe essere la volta buona che qualche soldo torni a circolare anche in Italia, auspicabilmente per finanziare imprese innovative e attività realmente utili al rilancio del paese e non ad arricchire i soliti noti. Ma questa è un’altra storia, tutta italiana.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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