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Opinioni

Che succederà ora che Bce e Fed prenderanno strade diverse

Tra pochi giorni la Bce dovrebbe varare ulteriori stimoli monetari, mentre la Federal Reserve dovrebbe iniziare a tirare i freni. Ne beneficieranno gli esportatori europei, molto meno le banche, ma la soluzione alla crisi dovrà venira da un’efficace azione di politica fiscale oltre che monetaria…
A cura di Luca Spoldi
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L’attesa è quasi finita: prima giovedì 3 dicembre, poi mercoledì 16 dicembre la Bce e la Federal Reserve si riuniranno per l’ultima volta quest’anno e salvo sorprese dell’ultimo minuto daranno modificheranno le rispettive politiche monetarie, creando una netta divergenza: la Banca centrale europea, guidata da Mario Draghi, metterà in campo ulteriori stimoli monetari (si parla con insistenza di un taglio ulteriore dei tassi, già negativi, sui depositi presso la Bce stessa e del lancio di un “QE2” ossia una nuova versione di quantitative easing, il programma con cui la Bce acquista bond sul mercato) per tentare di far ripartire l’inflazione “core”, quella al netto delle variazioni di prezzo legate ad energia e prodotti alimentari che secondo statuto dovrebbe mantenersi attorno al 2% all’anno (e invece resta vicino allo zero), mentre la Fed, guidata da Janet Yellen, inizierà a rialzare i tassi ufficiali sul dollaro per la prima volta dalla crisi del 2008.

In questo modo, in teoria, l’euro dovrebbe deprezzarsi sul dollaro, gli spread esistenti tra i rendimenti dei titoli di stato dei singoli paesi europei (e in particolare tra Btp e Bund decennali) dovrebbero ridursi e l’economia europea dovrebbe riprendere un minimo di vigore, con banche più propense a finanziare le aziende e aziende che potrebbero tornare a investire. Per i mercati finanziari, però, potrebbero esservi anche altri effetti, a partire da una maggiore volatilità delle borse, visto che tanto in America quanto in Europa le stime sugli utili vengono da qualche tempo riviste costantemente al ribasso, e un ulteriore ribasso dei tassi a breve termine sui titoli di debito (che in Europa esprimono già ora rendimenti negativi o nulli fino a due anni). Anzi, alcuni investitori come Anima Sgr hanno già sottolineato che “i mercati già da un anno scontano un rialzo dei tassi americani e all’opposto un progressivo ribasso dei tassi europei”.

In sostanza al di là di una reazione iniziale l’euro potrebbe non perdere così tanto terreno contro dollaro o contro altre valute come sterlina, rublo, franco svizzero o yen, tutte apprezzatesi da inizio anno di un 8%-10%, mentre anche i tassi non è detto che precipitino ulteriormente (e lo spread Btp-Bund, già ridottosi a meno dell’1%, potrà migliorare solo modestamente), semmai è probabile restino attorno ai livelli attuali più a lungo di quanto finora previsto e dunque per tutto il 2016 almeno. A beneficiarne dovrebbero comunque essere le aziende europee esportatrici, mentre ulteriori problemi avranno gli importatori, anche se molto dipenderà anche da come andranno le altre aree mondiali e da quali misure verranno eventualmente prese delle banche centrali dei diversi paesi a partire da Cina e Giappone: per l’economia cinese, in particolare, gli uomini di Anima intravedono una stabilizzazione, mentre le previsioni per l’andamento delle economie e borse emergenti e di quelle asiatiche (Giappone compreso) restano, rispettivamente, negative e neutrali.

Nel complesso tuttavia l’opinione di economisti e investitori è che la continua fornitura di liquidità al mercato da parte della Bce tramite le misure messe già in campo e quelle che potranno essere annunciate dovrà, se si vorrà realmente produrre un rafforzamento strutturale dell’economia dell’Eurozona, accordarsi ad una politica fiscale altrettanto accomodante, che faccia crescere il reddito disponibile e con esso le attese di inflazione futura, rimuovendo il rischio di tornare in una situazione di deflazione come quella sperimentata per gran parte dell’ultimo biennio.

Dall’altra parte dell’oceano la ripresa sembra abbastanza robusta per sopportare un primo rialzo dei tassi ufficiali sul dollaro. I Pil reale negli Usa negli ultimi quattro trimestri è del resto cresciuto mediamente del 2,2% e gli analisti non escludono che l’incremento a fine anno possa arrivare ad essere nell’ordine del 2,5% rispetto al +2,4% segnato nel 2014. Livelli che per l’Italia restano purtroppo “dall’altra parte della Luna”. Come molto spesso accade, si noti, in Economia e in Finanza nulla è di per sé assolutamente un bene o un male.

Con tassi vicino a zero ancora per un altro anno trarranno beneficio, in Europa, coloro che si sono indebitati, tanto più se riusciranno a vendere su mercati esteri, mentre soffriranno le banche. Quelle italiane, in particolare, stanno gradualmente svuotando il loro stock di titoli di stato (che la Bce acquista nell’ambito del proprio programma di quantitative easing che sta procedendo al momento al ritmo di 60 miliardi di euro al mese complessivamente), un tempo superiore ai 400 miliardi di euro.

Al tempo stesso la liquidità così ottenuta non verrà immediatamente né completamente impiegata in nuovi finanziamenti ad aziende e famiglie perché occorre ancora rafforzare matrimonialmente aziende bancarie indebolite da oltre 200 miliardi di crediti problematici e perché la domanda interna sta solo ora mostrando segnali di ripresa, su cui peraltro potrebbero impattare negativamente eventuali turbolenze legate all’andamento delle economie emergenti.

Queste a loro volta sono molto spesso più o meno pesantemente indebitate in dollari e dunque tendono a soffrire l’ipotesi di un dollaro che si rafforzi ulteriormente a fronte di una frenata della crescita americana (come si dovrebbe verificare a seguito dell’innalzamento dei tassi Usa), sicché se non si agirà con molta prudenza e attenzione, cosa che solitamente mal si coniuga con i temi “stretti” dei mercati, si rischia di produrre un involontario ma pericolosissimo corto circuito. In conclusione: l’azione delle banche centrali, per quanto accurata e finanche provvidenziale, ha dei limiti e meglio sarebbe, come sottolineato da una molteplicità di economisti e operatori economici, agire gradualmente sulla politica fiscale (inasprendola negli Usa, allentandola in Europa).

Ma le politiche fiscali oltre che dell’elettorato sono molte volte ostaggio del debito pregresso che ogni stato si trascina sulle spalle, un debito che toglie spazio di manovra e finisce col costringere la politica a inseguire soluzioni “contabili” utili al più a tirare un calcio al barattolo, ne più ne meno di quanto alcuni accusano le banche centrali di fare con l’utilizzo di strumenti “non convenzionali” di politica monetaria. Insomma: dicembre sarà forse il mese più importante dell’intero 2015 e le sue conseguenze si avvertiranno per tutto il 2016, ma non aspettatevi miracoli (né drammi). Anche l’anno prossimo dovremo continuare a impegnarci al massimo, ciascuno nel proprio ambito, per cercare di voltar pagina e di dare spazio alle energie migliori di questo paese e di altri, o non andremo da nessuna parte.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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