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Durante il travaglio il feto deve essere considerato un uomo, lo dice la Cassazione

Il feto, benché ancora nell’utero, deve essere considerato un “uomo” durante il travaglio della gestante, nel momento cioè della “transizione dalla vita uterina a quella extrauterina”. Lo dice la Cassazione: dunque l’ostetrica negligente che provoca la morte del feto risponde di omicidio colposo e non di aborto colposo.
A cura di Susanna Picone
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L’ostetrica negligente che provoca la morte del feto risponde di omicidio colposo e non di aborto colposo, reato meno grave. Lo sottolinea la Corte di Cassazione spiegando che nel contesto attuale “di totale ampliamento della tutela dei diritti della persona e della nozione di soggetto meritevole di tutela, che dal nascituro e al concepito si è poi estesa fino all'embrione”, il feto benché ancora nell’utero va considerato un uomo durante il travaglio della gestante, quindi nel momento – sottolineano i giudici della Cassazione nella loro sentenza – della “transizione dalla vita uterina a quella extrauterina”.

Confermata condanna per omicidio colposo per una ostetrica: bimbo venne alla luce morto – Sulla base di queste considerazioni, che tengono conto dell'evoluzione "normativa e giurisprudenziale italiana e internazionale", nel campo dei diritti della persona, la Corte di Cassazione – verdetto 27539 della Quarta sezione penale, presidente Patrizia Piccialli – ha confermato la condanna per omicidio colposo a un anno e nove mesi di reclusione (pena sospesa) nei confronti di un'ostetrica, Filomena G. di 44 anni, che non avrebbe adeguatamente monitorato il battito cardiaco di un feto mentre la mamma era in travaglio e le era stata somministrata l'ossitocina per aumentare le contrazioni. L'ostetrica continuava a rassicurare il ginecologo che tutto procedeva regolarmente ma il bimbo venne alla luce già morto, per asfissia, e i periti stabilirono che la congestione degli organi e lo stato di sofferenza fetale "non si era determinata in pochi minuti" ma in almeno mezz'ora. Se il monitoraggio fosse stato adeguato il neonato poteva essere salvato ricorrendo al parto cesareo. Per i giudici della Cassazione "la tutela della vita non può soffrire lacune" e deve essere protetto dalla legge anche il "viaggio" dei nascituri nel canale uterino.

Alla mamma aveva detto che il figlio era nato vivo – In base a quanto accertato nel processo, c'era stata "una scorretta e superficiale esecuzione dei tracciati". "Assolutamente censurabile", inoltre, il comportamento dell'ostetrica che "successivamente alla nascita del feto morto, aveva allegato alla cartella clinica" il tracciato di un'altra gestante e addirittura aveva detto alla mamma del piccolo nato morto – l'8 novembre 2008 – che "il bambino era nato vivo e che lei stessa ne aveva verificato il battito cardiaco al momento della nascita". Per questo all’imputata sono state negate le circostanze attenuanti generiche. Il verdetto dei supremi giudici conferma la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Salerno il 6 marzo 2018, conforme a quella pronunciata dal Tribunale di Salerno il 16 luglio 2015.

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