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Dalle veneri di Velásquez alle natiche d’oro del Tate Modern: quando il lato B è arte

Voler guardare la storia dell’arte da un’altra prospettiva sembra strano, soprattutto quando è quella del cosiddetto “lato B”. Ma osservare come l’arte ha rappresentato per secoli la nudità, ci fa in realtà scoprire aspetti nascosti della nostra cultura.
A cura di Federica D'Alfonso
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Una delle opere finaliste del Turner Prize 2016
L'opera di Anthea Hamilton, finalista al Turner Prize 2016

Discipline come la sessuologia e l'antropologia conoscono già da tempo il forte valore “simbolico” della nudità. Sembra sempre più difficile però, stabilire quale funzione abbia la rappresentazione dei corpi nudi nella cultura contemporanea. Soprattutto nella rappresentazione artistica: nell'arte non mancano esempi, talvolta considerati scandalosi, dell'utilizzo della nudità, sia maschile che femminile, quale veicolo per un messaggio "altro". E se i diversi modi di rappresentazione dei genitali maschili sono in qualche modo il "metro di misura" dell'evoluzione culturale di una società, una funzione analoga potrebbe avere il nostro lato B.

Il lato B, dal classicismo al surrealismo

Gian Lorenzo Bernini, Ermafrodito dormiente, particolare; Museo del Louvre
Gian Lorenzo Bernini, Ermafrodito dormiente, particolare; Museo del Louvre

Esistono numerosi esempi in tutta la storia dell'arte antica, anche preistorica, e classica, fino alle soglie della modernità. “La Venere Callipigia del Museo Nazionale di Napoli punta tutto sulla ostentazione della sua parte posteriore, con tale convinzione da voltare la testa essa stessa per guardarsela in una irresistibile attrazione”: Vittorio Sgarbi prende a riferimento in questo caso la celebre scultura conservata nel Museo Archelogico Nazionale di Napoli, denominata non a caso “Venere Callipigia”, ovvero “dalle belle natiche”. Centrale, nel discorso sul rapporto fra arte e nudità, la scultura raffigura l'atto dell'anasyrma, ovvero della sollevazione delle vesti. Un gesto appartenente alla cultura popolare, ma anche ai rituali sacri legati a Dioniso e Demetra: un gesto provocatorio, ma profondamente simbolico, che si pensava essere generatore di effetti soprannaturali, come la cura delle epidemie o l'allontanamento del malocchio.

Non diversamente fa l’Ermafrodito del Louvre, celeberrima scultura concepita, nella originale posa dormiente, per mostrare le forme del sedere, nella evidente ambiguità del sesso, da quel punto di vista indefinibile.

Dunque rappresentazione anche ambigua, che mostra la nudità ma non ne lascia intendere in genere. Mezzo e strumento espressivo “incerto”, il lato B vive una forte tradizione che nasce appunto nell'età classica e arriva a Diego Velàsquez, passando per Giorgione e Tiziano. Immagini sensualissime, che mettono in evidenza la carica sentimentale ed erotica del personaggio ma senza lasciarne intendere il volto: “La dea posa di spalle (ed è la prima delle donne), ma noi ne vediamo il volto come un’immagine sfocata, con un’ombra che lo specchio registra. Il pittore spagnolo, realizza così una sintesi tra i due lati, privilegiando quello principale”. E la storia del lato B è ancora lunga.

Venere Rokeby, Diego Valàsquez (1648); National Gallery, Londra
Venere Rokeby, Diego Valàsquez (1648); National Gallery, Londra

Un altro didietro che all'epoca destò scaldalo è quello di Salvador Dalì: o meglio, quello che Salvador Dalì dipinse nel 1933 in “L'enigma di Guglielmo Tell”. In questo caso la rappresentazione del lato B, esagerato e surreale, non ha nulla a che vedere con l'intento “erotico” riconosciuto a gran parte delle raffigurazioni di questo tipo: ispirato alla drastica rottura con suo padre, che non accettava la sua relazione con una donna divorziata, il genitore è rappresentato con le fattezze di Lenin (fu proprio questo a decretare la definitiva espulsione di Dalì dal gruppo) mentre tiene tra le braccia un bambino. In questo caso la deformità evidente del corpo è puramente simbolica.

"L'enigma di Guglielmo Tell", Salvador Dalì (1933)
"L'enigma di Guglielmo Tell", Salvador Dalì (1933)

Il post-Duchamp: il nudo è ancora capace di comunicare?

Una delle opere finaliste del Turner Prize 2016
Una delle opere finaliste del Turner Prize 2016

In epoca contemporanea diviene addirittura difficile, secondo alcuni, distinguere tra arte erotica e pornografia: come nel caso della mostra dal titolo emblematico “Ojo de culo”, tenutasi nel 2013 presso la Fondazione Serralves di Oporto, in Portogallo. All'epoca l'esposizione, interamente incentrata su scatti fotografici aventi protagonisti ani maschili e femminili, ha avuto un seguito di critiche non indifferente, divenendo oltremodo virale. O come l'ultima esposizione dei finalisti del Turner Prize di quest'anno, in cui figura fra i finalisti una scultura alta cinque metri dell'artista londinese Anthea Hamilton: un didietro ispirato ad un'idea mai realizzata dell'architetto italiano Gaetano Pesce per l'ingresso di un complesso di appartamenti di New York.

È più o meno a partire da Marcel Duchamp e da opere come “Étant donnés” che il rapporto della critica con la rappresentazione non più “simbolica” ma diretta e in certi casi “violenta” della nudità, cambia: le domande cambiano parallelamente all'evolversi della rappresentazione artistica del corpo senza veli. E viene dunque da chiedersi: oggi, come è cambiato il rapporto con lo scandalo, con la violenza creatrice dell'arte e con la nudità, che ne è il veicolo privilegiato da sempre? E soprattutto, attraverso di esso, quale messaggio si veicola?

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