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Sanremo 2023 quarta puntata: foibe e karaoke, il perfetto ritratto dell’Italia che ci piace

#SANSATIRA Giorno 4: Gaber, si domandava “cos’è la destra, cos’è la sinistra?” Io lo faccio con ogni puntata del Festival di Sanremo. La quarta puntata è la perfetta rappresentazione dell’Italia di oggi: foibe e karaoke. Un mare di canzonette mentre fuori c’è l’inferno.
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La consacrazione del Festival più politico di sempre, nel bene e nel male, ce la fornisce – ovviamente – Amadeus con la dedica al Giorno del ricordo: nella giornata in cui Calderoli e Salvini rispondono a Paola Egonu dicendo che l’Italia non è razzista, l’asse (ogni riferimento non è puramente casuale) viene spostato di prepotenza a destra. In ogni caso pare che non sia stato costretto da nessun esponente del governo, semplicemente – se guardate bene – si vede un puntino rosso sula fronte di suo figlio per tutta la durata della puntata. Quello che possiamo dire con assoluta certezza è che dopo anni, finalmente, abbiamo la risposta risposta ad una celeberrima domanda: “E allora le Foibe?”. Per info e contatti chiedete pure ad Amadeus.

E dopo quattro puntate, quattro edizioni targate Amadeus e ormai più di dieci anni di consolidata abitudine, possiamo dire con altrettanta certezza che forse è giunta l’ora di abolire per sempre da Sanremo il momento monologo un po’ brillante all’inizio, ma poi intimista, drammatico, anzi melodrammatico, retorico e pesantone? Decisamente sì. Anche perché non è di destra né di sinistra ma solo e solamente sfrantuma utero e maroni. D’altronde l’ha detto chiaramente anche Sgarbi  che “il livello culturale del Festival è miserabile.” Pare addirittura sia stata lanciata una raccolta firme per abolire il "momento monologo" da Sanremo e la raccolta firme sappiamo bene che è molto di sinistra extraparlamentare.

E soprattutto a questo punto è ormai lampante che gli artigiani della qualità sono la P2 del Festival: nessuno li conosce, nessuno sa bene chi siano e cosa facciano ma sono presenti sempre e dovunque. Quarta puntata dedicata ai duetti, duetto che, per la sua stessa natura è di sinistra (condivisione partecipazione) e va a parcondiciare la lettera sulle foibe. Aprono la gara Ariete e Sangiovanni che sono decisamente scarsi, steccano, propongono un arrangiamento inutile ma sono molto carini: scarsi ma carini ovvero di sinistra.

Dopodiché si susseguono 27 coppie, che aggiunti agli ospiti, i cantanti in esterna, il momento disco dj sulla nave – a questo giro veramente orribile quasi che vien da dar ragione a Sgarbi se solo non ti rendessi conto immediatamente dell’orrore che stai pensando –, fa sì che ci siano “più cantanti all’Ariston che su Spotify”, citando Fiorello.
Will con Michele Zarrillo molto democristiani;
Olly e Cuccarini assolutamente di destra sia per l’arrangiamento che per le posizioni della Cuccarini medesima;
Sarkozy dietro le quinte mentre Carla Bruni canta, momento assolutamente di destra;
Modà e Vibrazioni che ogni volta credono di fare il fottutto rock and roll ma sono in bilico tra amarezza e tenerezza tanto da sembrare una perfetta rappresentazione del compromesso storico.

In realtà tutta la serata è una grande alternanza fra destra e sinistra, cover e karaoke, concertone di piazza San Giovanni e Festa dell’Unità di Cinisello Balsamo, si susseguono sul palco i più grandi nomi della musica italiana come se non ci fosse un domani. Ma sono tre i momenti – oltre ovviamente al sempre tanto atteso momento “Beverly Inps” con il premio alla carriera a Peppino di Capri – che interrompono la routine da juke box sulla spiaggia:
Elisa e Giorgia di sinistra quanto basta, ma eccezionalmente brave;
Marco Mengoni accompagnato dal coro gospel decisamente di sinistra, da far venire i brividi;
e il Grigna con Arisa molto, molto punk, pure troppo.

Per quel che mi riguarda dopo l'esibizione di Grignani e Arisa si poteva chiudere festival e internet:
probabilmente avranno provato anche due se non addirittura tre minuti prima di cominciare, si lanciano sul palco come due funamboli che camminano ubriachi sul filo senza alcune rete e il pubblico dell’Ariston li guarda pressappoco con la stessa espressione che avrebbe se fossero davvero in bilico fra capolavoro e disastro, fra la vita e la morte o meglio fra destinazione oblio e destinazione paradiso. Hanno dato tutto quello che avevano: i loro corpi, il loro tempo, le loro debolezze, la loro umanità, tutto il loro cuore ma non vinceranno. Ed è la dolorosissima perfetta rappresentazione dell’elettorato del PD in Italia.
Per quel che mi riguarda il festival si è fermato lì, in quella frase:
“Abbiamo fatto un casino Gianluca!”
“E chi cazz… paraaaaadiiiisoooo”
Tutto il resto è noia e non ho detto gioia.

Nota a parte: Elodie.
Può fare quello che vuole e lo fa benissimo, e in più riceve plausi unanimi e approvazione: sostanzialmente quello che succede in Italia ogni volta che vince la sinistra di un altro paese all’estero. E comunque una mattina nel 2017 ero sul pulmino di rientro dell’aeroporto di Linate e c’era anche lei. Ci siamo guardati per due secondi e mezzo. Non lo dimenticherò mai.

La quarta puntata del festival della canzone Italiana è la perfetta rappresentazione dell'Italia di oggi: foibe e karaoke. Un mare di canzonette mentre fuori c'è l'inferno. Si parla di temi a macrotemi ma tutti e tutte fingono che là fuori non ci sia una terza guerra mondiale in agguato né guerre dovunque: si va avanti perché the show must go on. Pare che nessuno voglia ricordare che la pace sia l'unica soluzione possibile, nessuno tranne il Grigna ovviamente.

A domani, per la finale, anche se poi, tanto, alla fine si muore tutti democristiani.

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