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Raffaello, dopo 500 anni la sua morte è ancora un mistero: sifilide o avvelenamento?

Il protagonista assoluto di questo 2020 sarà Raffaello: quest’anno, infatti, ricorre il quinto centenario dalla scomparsa del genio urbinate. Il 6 aprile 1520, lo stesso giorno del suo compleanno, il Sanzio muore dopo quindici giorni di febbre e salassi inutili. La reale causa della malattia resterà però un mistero: le ipotesi sono affascinanti, e contribuiscono a farci conoscere meglio anche la sua vita al di là dell’arte.
A cura di Federica D'Alfonso
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Raffaello, "Lo sposalizio della Vergine" (1504), Pinacoteca di Brera, Milano.
Raffaello, "Lo sposalizio della Vergine" (1504), Pinacoteca di Brera, Milano.

Il 6 aprile 2020 saranno trascorsi 500 anni dalla morte di Raffaello Sanzio. Il pittore urbinate morì il giorno del suo compleanno, a soli 37 anni. Una morte improvvisa che sconvolse e commosse tutti, come racconta un altrettanto emozionato Giorgio Vasari che, nella ricostruzione dei fatti, non tralascia di fare ipotesi curiose sulle cause di quella terribile febbre che si era portato via uno degli artisti più promettenti e osannati dell’epoca. Una fama e un potere che potrebbero celare, secondo altri, la reale causa della morte: in entrambi i casi, non una “banale” malattia. A partire dal legame con due celebri capolavori, a distanza di 500 anni esatti ecco le ipotesi più affascinanti sulla morte di Raffaello.

La morte per "eccessi amorosi" e "La Fornarina"

Particolare del dipinto "La Fornarina" (1519), conservato presso la Galleria Nazionale d'Arte Antica di Roma.
Particolare del dipinto "La Fornarina" (1519), conservato presso la Galleria Nazionale d'Arte Antica di Roma.

Nella Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini, a Roma, è conservata un’opera estremamente importante per comprendere una delle ipotesi avanzate sulla morte improvvisa di Raffaello. Si tratta de “La Fornarina”, un bellissimo ritratto in cui compare una fanciulla eterea, mezza nuda, nella quale alcuni critici hanno rintracciato l’allegoria di Venere e dunque, dell’Amore stesso. Raffaello aveva completato la realizzazione della tela pochi mesi prima di morire e, dopo la sua dipartita, il quadro venne rinvenuto nel suo studio romano.

Per comprendere come quest’opera sia direttamente collegata alla morte di Raffaello, bisogna indagare sull'identità della fanciulla ritratta: secondo la versione più accreditata si tratterebbe di Margherita Luti, giovane figlia di un fornaio di Trastevere di origini senesi. Su di lei, e sul suo “rapporto” con il pittore, esistono due ipotesi contrastanti: la prima, la più romantica, vuole che i due fossero innamorati, e che addirittura avrebbero contratto un matrimonio segreto poco prima della morte prematura di Raffaello.

Raffaello, "La Velata" (1516), Galleria Palatina, Firenze. Alcuni studiosi hanno riconosciuto in lei la stessa modella de "La Fornarina".
Raffaello, "La Velata" (1516), Galleria Palatina, Firenze. Alcuni studiosi hanno riconosciuto in lei la stessa modella de "La Fornarina".

La seconda, meno poetica e più aderente all'altra ipotesi di morte avanzata da Giorgio Vasari in persona: quella che l’Urbinate, dedito ai piaceri della carne, sia morto di febbre contratta proprio a causa dei suoi “eccessi amorosi”. Un modo più elegante, e certamente non scientifico, per rintracciare la ragione della scomparsa prematura dell’artista nella sifilide, o in qualche altra malattia venerea. Ad oggi si tratta anche dell’ipotesi più coerente con l’articolato racconto di “quindici giorni di malattia” con “febbre continua e acuta” che, sempre il Vasari, fa in “Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori”.

Cosa c’entra dunque Margherita? Seguendo quest’ultima ipotesi, molto: “la fornarina” infatti non sarebbe il soprannome affibbiatole a causa del mestiere del padre, bensì, giocando probabilmente con esso, una ironica metafora circa la sua attività di dissoluta prostituta trasteverina. Forse a causa sua, o delle numerose altre ragazze che si dice che Raffaello amasse frequentare molto spesso, l’artista avrebbe contratto la malattia che lo porterà alla morte: per una strana ironia del destino, se tale ricostruzione maliziosa fosse vera, Raffaello sarebbe morto proprio a causa del soggetto che in modo così mirabile aveva dipinto l’anno prima, ovvero l’Amore.

"Trasfigurazione": il capolavoro incompiuto e l’omicidio

Raffaello, "Trasfigurazione" (1520), Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano.
Raffaello, "Trasfigurazione" (1520), Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano.

Il secondo capolavoro connesso al mistero della morte di Raffaello è la “Trasfigurazione”, la grande tempera lasciata incompiuta dall'artista che, sempre secondo il Vasari, sarebbe stata addirittura posta sul suo letto di morte. Anche in questo caso, il legame dell’opera con la morte dell’artista è puramente metaforico: emblema, stando alla genesi del dipinto e alla storia della sua committenza, della fama e del potere raggiunti dall'Urbinate alla corte papale.

Fama e potere, e di conseguenza gelosia e rancore, sarebbero infatti i moventi dell’avvelenamento di Raffaello: ipotesi che, soprattutto a partire dal Settecento, ha incuriosito moltissimi studiosi senza però determinare indagini più rigorose a riguardo. Nel 1722, quando il corpo di Raffaello venne riesumato, i segni dell’effetto dell’arsenico sul suo cadavere parvero evidenti: perfettamente conservato, come se non fossero trascorsi già due secoli.

Raffaello, "Leone X tra i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi" (1518), Galleria degli Uffizi, Firenze.
Raffaello, "Leone X tra i cardinali Giulio de' Medici e Luigi de' Rossi" (1518), Galleria degli Uffizi, Firenze.

Ma perché avvelenare uno dei più celebri e dotati artisti in circolazione? Le ipotesi anche in questo caso aprono molteplici scenari, il più accreditato dei quali sarebbe l’intenzione da parte di qualche “collega” di eliminare un concorrente troppo forte. Pratica non nuova all'epoca dell’intricata Roma cinquecentesca: casi analoghi sono stati ipotizzati per Beato Angelico, Masaccio e Rosso Fiorentino.

L’identità del colpevole, anch'essa ipotetica, potrebbe essere quella di Sebastiano del Piombo: una fortissima rivalità li univa già da tempo quando nel 1516 Giuliano de’ Medici commissiona ad entrambi la realizzazione di una pala d’altare. Raffaello stava lavorando proprio a quest’ultima, sul soggetto dell’incompiuta “Trasfigurazione”, quando morì. Probabilmente non conosceremo mai cosa accadde davvero: ma il mistero celato dietro la sua scomparsa, rende il fascino della figura di Raffaello ancor più grande.

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