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Perché non riusciamo a toglierci dalla testa Come un tuono di Rose Villain con Guè

Come un tuono è la canzone dell’ultimo album di Rose Villain, con Guè, diventata virale su TikTok. Ecco perché piace tanto.
A cura di Federico Pucci
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Rose Villain (foto di Marcello Dino Junior)
Rose Villain (foto di Marcello Dino Junior)

Tutta colpa di Cuando calienta el sol. La nostra associazione tra musica latina ed estate è tanto inveterata quanto sopravvalutata, un cliché che non regge alla prova di almeno un fatto: i due singoli latin pop di maggiore successo in assoluto nella storia del nostro mercato discografico hanno dominato le classifiche esclusivamente (o quasi) nelle non-belle stagioni. Parlo di Despacito, che nel 2017 dominò in primavera (ma certo non smise di essere suonata a fine giugno); e di Obsesión, al numero 1 tra ottobre 2003 e gennaio 2004.

Per introdurre l’attuale numero 1 della FIMI, Come un tuono di Rose Villain con Guè, mi tocca parlare proprio del successo a sorpresa degli Aventura. Poco più di vent’anni fa, questo gruppo di ragazzi del Bronx con origini dominicane ha meritatamente acciuffato il record italiano di singolo di una band piazzato per più settimane consecutive al numero 1. E, così facendo, ha reso popolare la bachata in tutta Italia e non solo in quelle isole di salsa e merengue chiamate “corsi di ballo latino americano”, croce e delizia dell’intrattenimento serale casuale di molti trentenni nei secoli bui, prima che arrivassero Netflix e il padel.

Ancora oggi i corsi (amatoriali o meno) riempiono il territorio delle nostre città, trasformando palestre in saloni, e aggregando come poche altre attività. In attesa di un censimento, possiamo immaginare che il ballo latino americano (e la bachata nello specifico) non spariranno a breve. Anche per questo, oltre a una congiunturale ascesa del latin pop in tutto il mondo, non possiamo stupirci se sono sempre meno rari i casi di canzoni dal suono latineggiante che si affacciano prepotentemente tra le altissime rotazioni dello streaming quando gli ombrelloni sono ancora lontani. O forse, a causa del cambiamento climatico e della proverbiale fine delle mezze stagioni, dobbiamo rassegnarci all’idea che il 13 aprile sia piena estate, ma per questa valutazione bisogna affidarsi alla scienza.

Fatto sta che, se c’è un genere latino che non ispira necessariamente atmosfere solari, quello è proprio la bachata. La sua storia, semmai, ha una premessa piuttosto oscura: questo genere di musica, tanto popolare nei bordelli e nelle zone rurali della Repubblica Dominicana, viene malvisto se non proprio osteggiato negli anni della dittatura di Rafael Trujillo (tra il 1930 e il 1961), fino a meritarsi quasi una fama di musica dissidente. Dopo la morte del dittatore, per molti anni, la bachata (termine che definisce una “festa in giardino”) sarebbe comunque stata considerata di cattivo gusto dalla classe media dominicana.

Per questo stigma sociale, per il suo contenuto (l’amore perduto o impossibile) e per la sua forma strumentale (principalmente, una chitarra), la bachata è stata considerata a lungo una sorta di “blues latino”, come ribadito in un’intervista dall’antropologa esperta di cultura popolare latinoamericana Deborah Pacini Hernandez. Insomma, per quanto le corde pizzicate e arpeggiate e il ritmo dondolante della bachata suggeriscano un mood tutto sommato sereno, la radice di questa musica è più amara di quanto non si creda: un genere marginalizzato, come le persone che l’hanno creato e abbracciato per prime.

A loro modo, anche dei lontani epigoni del genere come gli Aventura, negli anni Zero, hanno conservato molta di questa originaria oscurità. Basta prendere in considerazione la visione piuttosto inquietante del sentimento narrata nella loro hit: l’ossessione, che dà il titolo al brano, fa comportare la voce narrante come uno stalker. Tutto piuttosto terrificante. Ma prima di sentenziare un lapidario “oggi non si potrebbe dire”, pensa all’immaginario nel quale vivono le canzoni d’amore di gran voga in Italia: rapporti tossici, rivalsa sociale, conflittualità, sono tutte parti di un discorso che ci riporta a una precedente numero 1, 100 messaggi di Lazza. Come un tuono di Rose Villain e Guè, tuttavia, racconta qualcos’altro.

L’immaginario di Come un tuono è lussuoso a dir poco. Tra tutti i brani dell’album Radio Sakura, forse soltanto Huh? raggiunge la stessa saturazione di name-dropping: in questa fittissima foresta di brand Rose e Guè si muovono con il machete, troncando un nome quasi in ogni verso. Forse Come un tuono funziona proprio perché lancia nello spazio profondo ogni attinenza alla vita vera: la citazione del marchio, ormai usanza tipica del nostro pop, viene piegata all’assurdo. Le borse di cuoio intrecciato di Bottega Veneta; lo chef stellato Massimo Bottura; il vino Sassicaia; la musica di Ludovico Einaudi; la Venere di Botticelli; e poi Capri, Ducati, Paolo Sorrentino, senza nemmeno contare Bellucci-Fiorucci-Gucci stornellati da Guè: il testo funziona perché, messi tutti in fila, questi nomi propri restituiscono il non sense dell’accumulazione, figura retorica peraltro cara ai futuristi insieme all’onomatopea (avrebbero gradito anche Click Boom!), ma tipica anche delle filastrocche.

Presa alla sprovvista dall’amore, come canta nel ritornello, Rose Villain fa esperienza dell’ineffabilità descritta da molti poeti proprio come lo shock che segue un tuono: priva di parole adeguate, non può che cercare di descrivere le sue emozioni sommando immagini familiari, che se non descrivono nulla di specifico, perlomeno suggeriscono l’esperienza “premium” del rapporto tra Rose e il suo interlocutore. L’elenco di Rose, non casualmente concentrato sul piacere dei sensi (il gusto, l’udito, il tatto: peccato che non sia citata almeno una fragranza) è un volo dell’immaginazione nel quale le parole perdono di senso per chiunque (tranne che per i redattori di Genius).

Come un tuono, infatti, va oltre l’aspirazionale, radunando una serie di status symbol veri (Guè, bisogna dire, è molto meno rigoroso nella scelta delle sue parole). Di fronte a tanta ricchezza, la Lexus citata dal povero Anthony “Romeo” Santos degli Aventura pare davvero poca roba, l’idea di lusso da latino del Bronx anni ‘90, un sogno per emarginati: tanta miseria, al giorno d’oggi, forse non incontrerebbe il gusto di un pubblico che pretende di vedere la #riccanza.

Ma della bachata Rose Villain non cambia solo lo sfondo sociale. Anche il tipo di sentimento descritto dal suo testo, un’intesa perfetta ed esagerata, stride con la tradizione oscura e “blues” da cui altrimenti attingono Sixpm e okgiorgio (produttori del brano). Dopo aver dato spesso spazio alla tensione, all’incomprensione, alle lacrime, l’artista milanese si regala un piacere puro e senza dubbi, tranne forse per quella “fedina sporca” citata di sfuggita.

Bisogna anche dire che Rose e Guè non sono nuovi ai duetti d’amore. Tra i molteplici incontri musicali dei due, se si contano solo quelli che hanno Rose come lead artist, possiamo seguire un’evoluzione, quasi un racconto in tre atti, tra Elvis (estate 2021), Piango sulla Lambo (primavera 2022) e quest’ultima Come un tuono (primavera 2024): si parte dall’attrazione fatale, si passa al rapporto conflittuale e doloroso, fino ad arrivare a questo momento di estasi edonista in cui la possibilità di un dolore è letteralmente soltanto ipotetica (“se mi fai male, non perdono”). Ed è anche giusto così: una canzone di stalking come Obsesión – si spera – oggi non piacerebbe quasi a nessuno, e gli amori tossici tutto sommato è meglio lasciarli cantare ai maschi, che di questo sono esperti.

Dopo aver descritto le sue tribolazioni, Rose Villain vuole mostrarci un amore benefico (e munifico), che faccia sentire una donna in controllo della situazione (e del conto in banca), padrona del proprio piacere. Quando, due decenni fa, molti italiani hanno dedicato Obsesión alle loro amate, potevano avere la scusa di non conoscere il testo. Oggi, Rose Villain offre una possibilità di redenzione a chi vorrebbe chiedere una bachata al proprio o alla propria partner, senza portarsi appresso scomodi sottotesti di abuso.

Non è la prima volta che il genere ha un revival tutto italiano, o almeno un tentativo di riportarlo in voga: nel maggio 2021, Liberato pubblicava E te veng' a piglià, tuttora uno dei suoi maggiori successi, che tuttavia non cancellava tutte le ombre della bachata. Come un tuono, invece, risponde ad altre esigenze. Se funziona, forse è anche perché “fa sognare”, come qualsiasi canzone estiva che si rispetti – e ormai ci toccherà davvero cominciare a contare sei mesi d’estate. Rose ci invita a sognare una serata di goduria sfrenata, dove tutto fila liscio e secondo programma, dove la sofferenza è cancellata totalmente. Prevedibile ma emozionante, come un tuono, che – a differenza di quanto vorrebbe farci credere Rose – non arriva “senza preavviso”, bensì è anticipato dal lampo.

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