
“Puttane”. Chiedo scusa, se lo dico subito. Ma qualsiasi discorso su Amica, la penultima traccia del nuovo disco di Annalisa, Ma io sono fuoco, sarebbe un superfluo giro di parole se non fosse chiaro a tutti che questa canzone sarà ricordata per sempre come quella di "Tu scrivi ad altre ragazze mentre dormo, puttane sotto sotto". Perché una canzone è memorabile quanto la parte più ficcante, pungente, eventualmente "sbagliata" del suo insieme. E il testo, in questo gioco mnemonico, spicca sempre. E nello specifico, una parola "forte", diciamo così, funziona sempre. Come faceva la canzone di Tricarico, Io sono Francesco? Esatto. Com’era la felicità dei Thegiornalisti, quella di Ti mando un vocale? Ecco, la memoria non scherza. Non è solo perché le parolacce ci fanno ridere – e non dimentichiamo quanto è diventato importante il target dei quattordicenni nell’industria discografica – ma perché il loro arrivo dovrebbe denotare qualcosa di radicale, uno strappo alla formalità che deve significare qualcosa di importante, non solo un lapsus della lingua. E allora, capire cosa significa questa parola dentro questa canzone ci può aiutare a capire qualcosa in più sulla canzone stessa e chi la interpreta.
Cominciamo cercando di capire il contesto della canzone, non solo nelle parole ma anche nelle armonie costruite dai suoi autori – la premiata ditta di Annalisa, con lei, Davide Simonetta e Paolo Antonacci a cui si aggiunge JVLI (già noto per la collaborazione con Olly). Se il giro di accordi del ritornello ti è familiare è perché la sua successione ha invaso la musica pop, arrivando dal jazz, e facendo piovere malinconia e zucchero sopra ogni canzone, compresa la vincitrice dell’ultimo Festival di Sanremo – scritta proprio da JVLI, tra gli altri – e la hit definitiva del 2024 secondo le piattaforme streaming, cioè Birds of a Feather di Billie Eilish. Per tutti quanti, però, è alla fine “il giro di Last Christmas”, una sequenza che gratifica le orecchie e lo spirito con una dolceamaro lieto fine, che sta già tutto nella musica, come avevamo già avuto modo di raccontare. (Qui una certa somiglianza melodica emerge solo nel bridge finale: "Fai finta, I gave you my heart", verrebbe da cantare).
Si parte dall’accordo di base, ci si stiracchia dolorosamente verso il VI grado, una sorta di versione specchiata identica ma opposta all’accordo iniziale; quindi si trova un modo ingegnoso per scendere dal minore e tornare al maggiore, con un passaggio detto “turnaround” fatto di accordi separati precisamente da una quinta, cioè l’intervallo che la tradizione ci ha abituato a riconoscere come il più soddisfacente. Bam Bam Bam e siamo di nuovo a casa, per un altro giro di lamentele e sofferenze, pianti e riscatti.
Dentro questa che sembra solo una formula matematica senza emozione si annida la forza – e forse anche la banalità – di questo singolo. Annalisa veste i panni di una persona ferita dalle attenzioni che il proprio partner segretamente riserva ad altre donne (ora arriviamo all’epiteto), ma trova una consolazione che non è solo un compromesso, una trattativa a perdere con le proprie esigenze. No, lo stadio finale (o quantomeno l’idea di fondo) è oggettivamente migliore. E gli indizi erano tutti davanti al nostro naso. Ad Annalisa serve un’amica. Che si tratti di un eufemismo saffico o meno non importa davvero, anche se l’ambiguità è parte dell’efficacia di questo testo: lasciare una porta aperta sull’identità e i gusti della protagonista del brano non fa altro che stimolare l’elaborazione intellettuale ed emotiva dell’ascoltatore, che sarà portato a chiedersi, in modo forse ingenuo, quanto di quel personaggio coincida con la persona Annalisa.
Qui non attingiamo a quei fiumi di inchiostro. Qui vogliamo indagare il messaggio senza che si trasformi in un’investigazione. Ma nemmeno in un processo. Già, perché finalmente è arrivato il momento di parlare di quella parola. “Puttane”. Un boccone non facile da tirare giù per il gargarozzo, e proprio per questo appetitoso per la nostra fame di controversia e scandalo.
Non c’è nulla di scandaloso, in verità. Se prendessimo alla lettera quell’immagine, ritroveremmo infatti le fondamenta patriarcali della nostra cultura: "Lui chiama le altre, perciò le altre sono le nemiche da sminuire e svilire". Al netto della convenienza di questo o quell’insulto (si sa che le sex worker sono sempre le prime a rimetterci), non ci sarebbe nulla di male nello sfogo del personaggio, come ne abbiamo sentiti tanti nella storia del pop: in Colpa d’Alfredo di Vasco Rossi, per fare un esempio celeberrimo, sarebbe sbagliato astrarre le parole forti del protagonista dal contesto in cui parla (la rabbia, ma anche la stanchezza di una serata in un locale, e l’esaurimento per i discorsi a vanvera dell’amico che lo distrae).
In generale, è buona pratica considerare i cantanti (anche cantautori) come portatori di storie, non come se tutte le vicende e le parole che vi si pronunciano fossero le loro. Non chiederesti conto a Leonardo DiCaprio di tutte le “n-word” pronunciate in Django Unchained, perché sai che sono state usate nei panni di un personaggio razzista e sociopatico. Allo stesso modo bisogna fare con Annalisa e le sue “puttane”. Con una differenza sostanziale: Annalisa, fino a prova contraria, è responsabile del testo che canta in un brano che porta il suo nome. Allora, bisognerà scavare un po’ più a fondo: non per trovare una verità morale, ma per darsi una ragione completa della situazione.
Come dicevamo, la vicenda raccontata è quella di una relazione ampiamente al capolinea, e della cui inevitabile sorte la protagonista si accorge in diretta con noi, mentre ascoltiamo. Forse è per questo che le rime, la sintassi e la metrica della prima strofa sono così macchinose e non ben incastrate: il po-o-o-esia prolungato; la rima poesia/autopsia/malinconia; quella pianto/bianco/anno; la domanda "quali cause e effetto" con lo iato delle vocali tra i due sostantivi.
Insomma, stiamo sentendo lo sfogo di una persona che di fronte allo stato del suo rapporto non ha molto da dire se non “male, molto male”, come una persona genuinamente a corto di parole, frustrata in modo compito ma deciso. Ed è qui che arriva un primo momento di lucidità in mezzo al disappunto: "Avrei bisogno adesso di una persona normale", dice mentre i piatti deflagranti della strofa tacciono, mentre il basso prende una direzione e non la molla più segnando passin passino la sua strada, mentre il giro di accordi cambia e diventa quella linea retta descritta prima.
Eccoci a fuoco, finalmente: a te preferisco il mio cane, e tu te la prenderai ma è una semplice constatazione del fatto che sei immaturo, rancoroso, disinteressato e stupido. “Uno stronzo”, dice nella strofa successiva, che quindi serve perfettamente come prosecuzione del ragionamento. Una prosecuzione non soltanto logica, ma anche emotiva: se la prima strofa era caotica, la seconda trova un proposito nella sua rabbia, mettendo quasi in scena una colluttazione retorica tra l’importanza del proposito di lei (volere un figlio) e la meschinità di lui (“Mi dicevi: di recente bevi troppo”). La protagonista è scossa, ma decisa. E allora, quell’epiteto del ritornello, quel “puttane sotto sotto”, va messo sotto una luce più intensa.
Certo, potrebbe essere solo una parola forte messa lì perché entrava in metrica, o per far discutere i giornalisti musicali che non hanno più nulla da dire sul disco della settimana precedente. E al 99% direi che è proprio così, anche qui: non c’è un messaggio segreto da decifrase. Ma se c’è una cosa che la Bellissima ci ha abituato a fare negli ultimi anni del suo rinascimento pop è non considerare mai nessun particolare come se fosse stato lasciato al caso e non accuratamente pianificato. In questo caso, la canzone arriva quasi al termine di un disco molto schietto e diretto, quasi appiattito a una visione estetica (gli anni ‘80) pur di sembrare focalizzato su una destinazione.
Se questo disco fosse un’automobile, il suo motore sarebbe spinto al massimo delle possibilità, con un pieno di benzina a cento ottani, e una sporadica dose di protossido di azoto per aumentare la potenza: Annalisa canta di persone che non hanno più nessuna scusa per arrendersi alle volontà di un Maschio la cui posizione dominante è frutto di privilegio e non di merito. Non arriverei a sostenere che Ma io sono fuoco è un disco femminista, ma direi che la donna qui cantata è – per citare l’artista – “piena rasa” e agisce di conseguenza. Sicuramente in modo irruento.
Così, arrivata ad Amica, scappa un epiteto poco nobile. “Puttane sotto sotto” forse sottende all’ipotesi che, secondo una possibile lettura saffica, anche la protagonista voglia fare uso di altre donne come fonte di piacere e consolazione, al pari del suo ex partner? Del resto, è lei a dirci “anch’io starei pensando”, immediatamente dopo la scoperta degli intrallazzi di lui. Non lo escluderei del tutto. In questo modo, vicini al termine del disco, la donna di fuoco qui cantata si sarà trasformata in un maschio, libera di potersi godere anche i suoi difetti e le sue presunzioni, i suoi privilegi e le sue meschinità.
Forse non a caso, il disco si chiude con un brano che pare piuttosto una coda di Amica: con una progressione simile, e una scena che – a conti fatti, dopo queste letture e controletture – sembra quella post-coitale dopo un incontro con una persona il cui genere, a questo punto, è solo da lasciare all’immaginazione. Senza pruderie di descriversi nuda, senza pudore di dire una parola “sbagliata” che invece è lasciata liberamente nel vocabolario di rapper e maschi grevi e complicati. Anche una donna può essere egoista, edonista e un po’ stronza. Questa è la canzone per le donne che si vedono così, e viene da scommettere che non ce ne siano poche in circolazione.
