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Perché Berghain di Rosalía è un colpo di genio: tra sacro, profano e rivoluzione pop

In Berghain, Rosalía unisce classica e contemporaneo, sacro e profano: un ritorno barocco al pop, tra estasi mistica e ambizione sonora senza misura.
A cura di Federico Pucci
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Rosalía – ph Marc Piasecki:WireImage
Rosalía – ph Marc Piasecki:WireImage

Sono anni mesti per il pop. Anni di riso in bianco e mela cotta. Non che non manchi occasione di divertirsi, ma se si fruga fra molte delle più importanti hit internazionali degli ultimi anni, sembra quasi che la parola d’ordine fra hitmaker e popstar sia stata: “anche meno”. Ora che per produrre "muri di suono" non servono più le ingegnose parate di strumenti di Brian Wilson o di Phil Spector, forse si è perso anche il gusto. Il che è legittimo: a differenza di quanto pensino gli apostoli della generazione dell’arte tramite intelligenza artificiale (come il fondatore di Suno), lo sforzo di creare qualcosa è parte del divertimento e non un ostacolo, perciò mettere insieme tanti suoni diversi per comporre un risultato maggiore rispetto alla loro somma sembra ormai un esercizio sterile, un’operazione pacchiana.

Così, non è rimasto più nessuno a fare "piccole sinfonie" di due minuti. Ma era inevitabile: alla fine lo sbraco, il massimalismo, l’esagerazione avrebbero trovato un modo per tornare attuali. Perché il pop è fatto per divertirsi, emozionarsi, commuoversi alla grande, non con modestia. Certo, la canzone più ascoltata dell'anno è una ballata speziata come l’acqua tiepida intitolata Ordinary e l’anno scorso lo stesso titolo è stato assegnato a Birds of a Feather, la (peraltro graziosissima) serenata funebre di Billie Eilish. Ma i segnali di controtendenza non vanno ignorati: la brat summer di Charli XCX era un indizio. Nulla, però, può avvicinarsi al tripudio di pessimo gusto e ambizione che Rosalía ci ha promesso con Berghain, e con il nuovo disco in arrivo il 7 novembre, LUX.

Sacro e profano: l’estetica barocca di Rosalía

La stessa endiadi "sacro e profano", espressione che il progetto di LUX suscita alla mente non appena si vede la copertina (molto Loredana Berté), dovrebbe bastare per scacciare ogni guardiano del buon gusto – via, questo boccone è troppo sapido per il tuo palato delicato. Sgombrato il campo da chi va a caccia di sottigliezze, possiamo parlare di Berghain. Il brano presentato qualche giorno fa porta il titolo del più famoso club techno di Berlino, un luogo talmente iconico e sdoganato da essere citato da Lazza così come dai Pinguini Tattici Nucleari, e quindi esso stesso in bilico tra luogo di vera produzione di cultura e condivisione di un’idea di mondo, e banalissima meta turistica.

Ma con Berlino e con la techno questo pezzo non c’entra quasi nulla. Mentre si ponevano le basi della musica che ha ispirato il brano dell’artista catalana, se è per questo, Berlino doveva ancora conoscere le glorie di Federico il Grande. I punti di riferimento musicali di Berghain, che Rosalía aveva sparso in rete con alcuni teaser, semmai sono ancorati nella musica barocca di Bach e Lully, di Handel e Vivaldi; altre corti, altre selezioni all’ingresso, non proprio laiche.

La musicista sa bene cosa sta maneggiando: i suoi studi alla Escola Superior de Música de Catalunya l’hanno avvicinata alla classica in una fase formativa, quella che l’ha portata con El Mal Querer a confrontare la tradizione del flamenco, la poesia medievale e l’hyperpop futuribile. Quel disco, bisogna ricordare, era frutto di un lavoro accademico: prima di essere promotrice di questa o quella scena, cantante di reggaeton avanguardistici e hit situazioniste, Rosalía è prima di tutto un’adorabile secchiona. E i suoi studi non sono terminati a scuola, anzi: LUX è un progetto frutto di molte letture, come ha spiegato parlando con il New York Times. Ma andiamo con ordine.

La composizione di Berghain

Il brano si apre con sei battute di soli violini. A suonare è la London Symphony Orchestra, uno degli organi più rispettati non solo della classica ma anche dei progetti a cavallo con la ricerca e il pop contemporaneo, si prenda a esempio il fenomenale disco Promises, realizzato con Floating Points e Pharoah Sanders. Il gesto dei musicisti è forte e rapido, come si addice all’introduzione di un tema. Tre serie di arpeggi sopra la stessa progressione armonica segnano un movimento nel tempo e nello spazio: il giro assomiglia a quello della celeberrima ciaccona della partita no.2 in Re minore (stessa tonalità di questo brano, guarda caso) di Johann Sebastian, ma si muove diversamente dalla tonica alla dominante.

Entrambe, però, finiscono dritte nelle grinfie di un settimo grado rialzato di un semitono, perché entrambe si reggono sulla scala minore armonica, parte del vocabolario del Barocco tanto quanto lo è di quello pop contemporaneo (ne parlavamo a proposito di La rondine di Mango, per esempio, ma la troverai menzionata in tre quarti di questa rubrica): è quella nota, un Do diesis nel nostro caso, che crea una tensione insopportabile, tale da volerci far cascare di nuovo nel buco tetro e freddo da cui eravamo partiti, il Re minore.

Gli archi si muovono con una dinamica che ricorda un altro classico del ‘700: Antonio Vivaldi. Se anche non conosci nulla di questa musica, potresti comunque avere un abbonamento a Netflix ed essere incappato in una puntata di Chef's Table: benché rivisitata da Max Richter, la sigla di quello show è proprio di Vivaldi, il famoso "inverno" delle Quattro stagioni (altro brano in scala minore armonica, per la cronaca).

Un altro tocco molto barocco è l’esageratissimo rubato con cui si chiude quest’introduzione: il tempo rallenta fino quasi a fermarsi, proprio come era uso dei solisti al clavicembalo (tutt’altro che banale azzeccare il rallentamento in ensemble, ma la LSO non scherza). Questo modo di suonare è praticamente inesistente nella musica odierna, dove il tempo è settato da una griglia sui programmi di produzione e rarissimamente si sceglie di deviare.

Dalla musica classica al pop digitale

D’altra parte, Rosalía mette in mezzo anche un tocco di presente: se il serpentino fluire della metrica nelle tre sezioni rispecchia fedelmente le variazioni ritmiche che si trovano in tanti passaggi simili settecenteschi, invece il salto di ottava degli arpeggi nella seconda sezione sono molto più moderni. Altre incursioni del presente? Naturalmente il battito di cassa intorno a 1:20 (da "cuando tú vienes"), ma forse ancora più sottile è poco prima quello che sembra a tutti gli effetti un taglio della base fatto in post-produzione per rendere più vigoroso il nuovo giro degli archi a partire da 0:39.

Le reference musicali barocche di per sé non ci dicono nulla: sono tanti i casi di giustapposizione di classica e pop, e al di là del buon gusto (perlopiù carente), la fusione fallisce quasi sempre. Perché le premesse culturali tra un quartetto d’archi e i brani metal che reinterpreta non potrebbero essere più distanti: in questo caso mi sto riferendo ai famigerati Apocalyptica, e nel loro caso come in quello dei 2Cellos per esempio, è in realtà proprio la distanza a far funzionare l’esperienza per molti, questo salto carpiato che sa di ironia anche se non c’è nulla da ridere. Nel caso di Berghain, invece, Rosalía ci fa riflettere sulle somiglianze tra il ‘700 del Barocco e il presente.

Nel nostro mondo i musicisti sono alla mercé degli uomini più ricchi e influenti che siano mai nati, i quali alla faccia del loro privilegio chiedono a questi miseri artigiani di produrre più musica, perché "non è abbastanza pubblicare un disco ogni 3-4 anni". (Caso vuole che Motomami sia uscito giusto tre anni e mezzo fa). Questo atteggiamento è davvero molto diverso dalla considerazione che gli aristocratici avevano dei loro musicisti di corte, costretti a comporre nuove pagine ogni settimana? Ma al di là di questo contesto produttivo, ci sono altre somiglianze che l’artista vuole sottolineare tra le due epoche: per esempio, la commistione molto promiscua tra il mondo laico e profano e quello sacro ed ecclesiastico. Molti compositori dell’epoca (come Vivaldi stesso) erano al servizio della Santa Chiesa, se non si trovavano a corte di un qualche nobile (o magari servivano due padroni).

Ma al di là dell’impiego dei musicisti, l’arte stessa sembrava in tensione tra mondano e celeste: basti pensare alla scultura sinuosa e sensuale di Bernini. Un'opera in particolare viene in mente, quando ai violini si unisce il canto corale, e poi quello da solista della popstar spagnola, che intona i suoi versi con perizia da soprano di coloratura: e quell’opera è l’estasi di Santa Teresa.

Il senso delle collaborazioni con Björk e Yves Tumor

La copertina del nuovo album di Rosalía, Lux – ph Noah Dillon
La copertina del nuovo album di Rosalía, Lux – ph Noah Dillon

Nella strofa iniziale un coro vigoroso alla Handel canta (in tedesco) "la sua paura è la mia paura, la sua rabbia è la mia rabbia, il suo amore è il mio amore, il suo sangue è il mio sangue": sono parole di una canzone d’amore o della confessione di una mistica? Una cosa non esclude l’altra. Come ha spiegato al NYTimes, per questo progetto la musicista ha studiato i testi di mistiche come Ildegarda di Bingen, cercando di portare alla luce un altro modo di intendere l’atto creativo: come qualcosa di ricettivo e non solo proattivo; come qualcosa di fluido e non solo proiettato al climax. In questo senso si può leggere anche il verso di Björk: "L’unico modo in cui sarò salvata è tramite intervento divino" non va letto, a mio avviso, come un’epifania di fede da parte dell’artista spagnola e di quella islandese, ma come un invito ad abbandonarsi, a non considerarsi sempre eroe della tragedia, pur senza rinunciare al ruolo da protagonista.

Forse il Barocco trovava in queste sante mistiche medievali, insieme carnali e spirituali, una soluzione e uno sfogo momentaneo alle tensioni, spesso sanguinose, tra Riforma e Controriforma. Ugualmente, oggi possiamo vedere in quella alterità un modello femminile che non solo sopravvive ma si esalta dentro la scomparsa dei contesti, la frammentazione e il relativismo – è da notare che Rosalía ha messo anche la filosofa Simone Weil tra le fonti.

In questo senso, l’intervento finale di Yves Tumor può essere interpretato in modo letterale (e molto banale), come una pura provocazione: oppure, può essere calato nella probabile storia che sarà dipanata sui quattro movimenti del disco, e quindi essere interpretato come una voce fuori campo divina che agisce sulla protagonista con la sua illuminazione. Così, l’ambiguità del verbo "fuck", che ha una connotazione sessuale ma anche un significato traslato di "distruggere" dimostra lo stato ambivalente della protagonista: una mistica che cede il suo corpo non al piacere, ma alla manifestazione di un fine più alto e comune. "Il suo sangue è il mio sangue", appunto.

Sotto quest’ottica di ricomposizione e sintesi delle differenze si può leggere anche l’eclettismo linguistico di Berghain e dell’album in generale: se nel disco saranno presenti tredici lingue, le tre (tedesco, spagnolo, inglese) di questo brano già sono sufficienti per mostrarci la linea d’arrivo del concept. Il mondo frequentato da Rosalía è multilingue, e anche noi ci muoviamo quotidianamente in spazi virtuali che sembrano una Babele. Nel caos non è la voce di un individuo che si sente, ma il coro. E non è il gesto dell’individuo che si nota, ma l’opera d’arte. Come la luce, il titolo al disco, che raccoglie onde di vario colore in un unico raggio. Anche questa è una scoperta del Barocco.

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