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Massimo Ammaniti: “Ridiedi una vita a bambini, legati e abbandonati, chiusi in manicomio”

Lo psicanalista Massimo Ammaniti racconta nel suo ultimo libro come era fare il medico nel reparto minori di un ospedale Psichiatrico negli anni ’70.
A cura di Redazione Cultura
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Massimo Ammaniti (ph Simona Berterame per Fanpage)
Massimo Ammaniti (ph Simona Berterame per Fanpage)

Massimo Ammaniti è uno degli psicoanalisti più conosciuti d'Italia. Nel suo ultimo libro "Passoscuro", pubblicato da Bompiani, il medico torna su un caso che lo ha coinvolto in prima persona e che risale agli anni 70, quando si trovò a lavorare al Reparto dei minori irrecuperabili dell’Ospedale Psichiatrico Santa Maria della Pietà a Roma. La prima volta resistette solo un giorno perché quello che vide fu insostenibile: c'erano bambinilegati ai letti e ai termosifoni, abbandonati, seminudi. La seconda volta, invece, sei anni dopo – era il 1972 – tornò per cercare di ridare una dignità a quei bambini, dando loro la possibilità di vivere giorni degni, ribaltando quelle che erano le regole di vita del Reparto, aprendo quel microcosmo al mondo esterno, all'interno di una rivoluzione del settore che avrebbe portato alla Legge Basaglia.

Un vero e proprio memoir, quello di Ammaniti, che a Fanpage ha raccontato come mai ha scelto di tornare proprio su quegli anni: "Finì questa esperienza (al Padiglione 8 del manicomio romano Santa Maria della Pietà, ovvero il reparto dei bambini, ndr) e come spesso succede archiviai questo periodo della mia vita. Si era concluso, continuai con altre esperienze importanti, però, dopo tanti anni il ricordo di quel periodo è tornato fuori. Ho sentito l'esigenza di ritornare a quella esperienza e di ricollocarla in quel periodo, in cui ci sono stati grandi avanzamenti, e questo lo ripropongo oggi, perché troppo spesso le cose vanno avanti senza nessun entusiasmo o impegno. Bisognerebbe ritornare allo spirito di quei tempi".

Ammaniti poi spiega cosa succedeva nel Reparto, quali erano i pazienti e cosa succedeva quando arrivò: "La maggior parte dei bambini avevano patologie, c'erano bambini con la sindrome di Down, autistici, con gravi dismorfie, però non erano irrecuperabili. Poi c'erano anche dei bambini che erano finiti lì per situazioni incredibili, non erano per nulla stimolati. I bambini e i ragazzi – perché rimanevano fino alla maggiore età – stavano sotto sorveglianza, senza giocattoli, senza niente, con un camiciotto addosso, senza mutande, scarpe, facendosi tutto addosso ed era una situazione terribile per loro. In qualche caso c'era anche un bambino, quello più aggressivo, solitamente, che veniva legato al termosifone, per cui andando lì, il mio impegno è stato quello di ridare una vita a questi bambini a cui era stata sottratta e dimostrare che l'irrecuperabilità non è dei bambini ma degli adulti, delle famiglie, degli operatori psichiatrici, che non credevano che questi bambini potessero fare dei passi in avanti".

Un giorno, poi, lo psicanalista decise che era il caso di portarli a fare una gita in spiaggia, a Passoscuro, nel Lazio: "Li portai al mare, li caricai su un autobus, non tutti, quelli che potevano venire, con le infermiere, i volontari e arrivammo sulla spiaggia, dove sono tornato recentemente, per rivedere con grande commozione quel posto. E questi bambini che non erano mai usciti dal padiglione, mai, si trovarono di fronte al mare, alla sabbia, al sole". Ma quel gruppo non passò inosservato: "C'erano delle famiglie che si erano molto allarmate quando arrivammo, ma quando spiegai che erano bambini disabili e che avevano difficoltà, mostrarono molta attenzione, qualcuno ci chiese se poteva darci una mano. Il titolo Passoscuro indica non solo il luogo della gita ma vuole anche dire ‘ingresso molto inquietante'".

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