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Margherita Hack: 100 anni di una donna libera, scomoda e ricca di energia come le stelle che studiava

A 100 anni dalla nascita di Margherita Hack il racconto dell’importanza dell’astrofisica, esempio positivo per la questione della parità di genere.
A cura di Jennifer Guerra
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Margherita Hack (Fabio Palli/La Presse)
Margherita Hack (Fabio Palli/La Presse)

Quando frequentavo le elementari, sviluppai una vera e propria ossessione per lo spazio. Per anni mi convinsi che da grande avrei fatto l’ingegnera astrofisica, anche se non avevo ben capito cosa significassero nel concreto quelle due parole. Sapevo però che era qualcosa che aveva a che fare con l’osservazione delle stelle e dei pianeti, e tanto mi bastava. Mi feci portare al planetario da mio papà per guardare Saturno e mi informai su come costruire un telescopio casalingo. La responsabile di quella ossessione fu Margherita Hack.

Grazie alla digitalizzazione degli archivi della biblioteca, ho trovato il titolo del libro che mi fece scattare quella scintilla all’età di 7 anni: L’universo di Margherita, scritto dalla scienziata insieme a una collega, Simona Cerrato. Raccontava la storia della Margherita bambina, fino agli anni dell’università. Non ero sicura di scovarlo. Per un po’ sono stata convinta di essermelo inventato, nella mia memoria era sovrapposto alle tante letture che hanno contribuito alla mia formazione di bambina. Le protagoniste si somigliavano tutte: erano ragazzine forti, determinate e spesso facevano cose che nessuno si aspettava da loro.

Crescendo ho capito che le stelle mi piaceva guardarle dalla terra, restando avvolta nel loro mistero, piuttosto che studiarle a fondo. Se la passione per lo spazio è andata scemando, quella per le bambine e donne anticonformiste ha segnato la mia vita. E così Margherita Hack si è aggiunta a questo pantheon di figure a cui guarderò sempre con ammirazione.

Hack non è stata semplicemente una donna che ha fatto qualcosa che alle donne era sempre stato precluso – tra l’altro in tempi ancora più difficili – né “la prima donna” a ricoprire incarichi e ruoli importanti – pur avendoli avuti: è stata la prima a dirigere un osservatorio astronomico in Italia; Hack è stata molto di più. È stata una donna libera, scomoda, vitale, piena di energia come le cento stelle che danno il nome alla via dove nacque nel 1922. Era atea, diceva le parolacce e non si sforzava di risultare simpatica a tutti.

Si interessava di tutto: dai suoi amati gatti, al ciclismo, alla musica. Aveva una concezione estremamente democratica della scienza, che rifletteva le sue idee politiche libertarie: tutti hanno diritto di conoscere il cosmo, perché tutti siamo “fratelli di zuppa”, provenienti dalla stessa mescolanza primordiale. È un marchio a cui nessuno sfugge, indipendentemente da caratteristiche come la classe sociale o il genere. Per questo dal 1997, quando andò in pensione, Hack si votò tutta alla divulgazione scientifica: “Dal mio punto di vista è un principio base della mia etica professionale”, dichiarò nel libro "Nove vite come i gatti", scritto con Federico Taddia. "Ed è legato a doppio filo a concetti come la giustizia, il rispetto del prossimo e dell’orgoglio del proprio lavoro".

In conclusione a quello stesso libro, la scienziata racconta del suo stupore nel sentirsi “quasi una santa, una reliquia: mi toccano, mi vogliono baciare, mi ringraziano per le cose più diverse”. Spesso il destino di molte delle “prime donne”, specialmente dopo la morte, è proprio quello di diventare delle icone, bidimensionali e quasi intercambiabili con tutte le altre. Per Hack questo è impossibile, perché con la sua vita e la sua personalità straordinarie non si è limitata soltanto a eccellere nel suo campo, ma ha lanciato un messaggio imprescindibile per tutte le donne: senza libertà non c’è desiderio. La libertà per Hack non è qualcosa che si deve raggiungere, ma una precondizione necessaria per poter diventare ciò che vuole, mettendosi sempre a disposizione degli altri.

Questo vale ancora di più per le donne, che specie nel campo della scienza si trovano di fronte a enormi ostacoli: “Spesso mi viene chiesto se ho incontrato molte difficoltà nel corso della mia vita scientifica”, disse in un intervento al convegno “Donne e Scienza” a Palazzo Ducale a Genova, nel 2003. “Ritengo che molti degli ostacoli di cui si lamentano parecchie ricercatrici dipende anche dall'educazione ricevuta che, almeno fino a qualche decennio fa, tendeva a fare delle bambine persone arrendevoli e servizievoli, poco combattive e desiderose di protezione”. Sono passati quasi vent’anni da quelle parole e la situazione è migliorata di poco: nel 2020, le donne erano il 40,6% del totale dei laureati dell’area STEM, le discipline scientifico-tecnologiche. Ma il numero delle lauree non basta a dare una fotografia realistica delle donne nella scienza: le donne hanno meno pubblicazioni scientifiche, sono meno citate negli altri studi rispetto agli uomini, e il loro numero diminuisce più si va avanti nella carriera accademica. Questo perché agli ostacoli culturali si aggiungono altre barriere legate, ad esempio, al lavoro di cura in casa e in famiglia. Anche questo per Hack era un problema importante: “Rarissimamente si afferma il diritto delle donne e il dovere degli uomini di dividersi al 50% le cure familiari, dalle più umili alle più importanti, anche se la legislazione familiare dà alle donne la possibilità di rivendicare questa reale parità”.

Perché una parità si raggiunga davvero, non c’è bisogno soltanto di leggi o politiche paritarie, ma anche di esempi positivi. Margherita Hack lo è stata, non perché santa o reliquia, ma proprio in virtù del suo non volerlo diventare, cosa che le ha permesso di individuare con lucidità quali siano le reali ragioni che ingabbiano le donne. Per questo tutte dovremmo ricordarla e ringraziarla, anche se per qualcuna la scienza è rimasta solo una fantasia di bambina.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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